“Solo il pensare” possibile che, come Eni, “ci mettiamo lì, invece di lavorare, a fare depistaggi, è una cosa che mi fa assolutamente indignare”. Così, nel pieno della bufera, parlò l’amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato, Claudio Descalzi, a sua volta nel mirino dei pm di Milano intenzionati a capire se il manager era a conoscenza delle manovre del capo del suo ufficio legale per sviare il processo sulla mazzetta da 1,1 miliardi, versata da Eni per il giacimento nigeriano Opl 245, nel quale lo stesso Descalzi è indagato con altri vertici attuali e passati dell’azienda per corruzione internazionale.

L’amministratore delegato del Cane a sei zampe che nei giorni scorsi è stato travolto dalle inchieste di Messina, Roma e Milano su quello che è già stato definito “il più grave scandalo della Repubblica italiana” dove “uno dei massimi dirigenti di un’impresa controllata dallo Stato che depista le indagini per rendere inefficaci i controlli sulla società a cui appartiene e permetterle di agire come entità autonoma, al di fuori della legge”, ha parlato ai giornalisti a margine della conferenza petrolifera Egyps al Cairo.

“Ho un’estrema fiducia nella giustizia ma ho anche un’estrema fiducia nella mia struttura, nelle persone che conosco da 30 anni”, ha premesso Descalzi riferendosi a Eni e ai suoi manager. “Noi in questi tre-quattro anni abbiamo trasformato l’azienda, l’abbiamo ristrutturata, fatta diventare robusta, profittevole. Abbiamo lavorato 24 ore al giorno per fare questo”, ha aggiunto l’ad del gruppo energetico riferendosi a “ingegneri o geologi che vengono da 30 o 40 anni di Eni”.

Dopo aver espresso la propria indignazione, Descalzi ha quindi ribadito di aver “fiducia nella giustizia ma ho fiducia anche nella mia gente, al 100%”. “So come siamo” e che “non siamo quel tipo di persone: questo è quello che posso dire”, ha concluso.

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