di Lelio Bizzarri *

Nei giorni scorsi ha destato scalpore e sdegno la notizia che nel rapporto di autovalutazione 2015-2016 del liceo classico Visconti di Roma, pubblicato sul sito del Ministero dell’Istruzione, fosse contenuta la seguente dicitura: “L’essere il Liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidato (…) Molti personaggi illustri sono stati alunni del liceo (…). Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pari a zero (…). Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento (…)” [qui il documento].

A poco sono valse le smentite della preside e della dirigente scolastica. A tantissimi, compreso la ministra Valeria Fedeli, quelle parole sono apparse in maniera inequivocabile: l’assenza pressoché totale di studenti immigrati, disabili e appartenenti a famiglie economicamente svantaggiate è un vanto tanto quanto la tradizione storica dell’istituto.

Senza troppi giri di parole si afferma una mentalità secondo la quale la presenza di certe categorie di studenti sia un fattore che – per usare un eufemismo – non agevola l’apprendimento. L’alto contenuto ideologico delle parole utilizzate si concentra nell’aver fatto riferimento alla “nazionalità” e non alla lingua: nel secondo caso, si poteva immaginare una concreta implicazione nei processi di apprendimento, ma se si parla di nazionalità si includono anche studenti nati in Italia, che parlano perfettamente la nostra lingua, figli di genitori immigrati. Fa sorridere, poi, l’utilizzo dell’espressione politicamente corretta “diversamente abili” in un contesto semantico discriminatorio e pregiudizievole. Andando nella sostanza, al di là dell’analisi linguistica, l’istituto risulta solo parzialmente adeguato, per non dire inadeguato, rispetto alla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche considerando l’inaccessibilità per i non deambulanti. Nella sede infatti c’è “un ascensore che parte dal I piano”, come si evince dal rapporto stesso.

La vicenda necessita di una profonda riflessione, più che di un’effimera indignazione, perché toni analoghi sono stati utilizzati anche da altri istituti scolastici. Soprattutto è necessario chiedersi come mai sia lo stesso Ministero dell’Istruzione a porre l’accento su fattori socio-economici nel questionario di valutazione. E’ difficile comprendere la rilevanza nella valutazione dell’offerta formativa di una scuola di domande quali:
– “Qual è il contesto socio-economico di provenienza degli studenti?”
– “Qual è l’incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana?”
– “Ci sono gruppi di studenti che presentano caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza socio economica e culturale (es. studenti nomadi, studenti provenienti da zone particolarmente svantaggiate, ecc.)?”

L’esito, intenzionale o meno, di questa situazione è una sterilizzazione di ogni possibile contaminazione con la diversità nel percorso formativo di studenti che verosimilmente andranno a comporre la classe dirigente di domani. La scuola è anche il contesto della crescita sotto il profilo umano, l’assenza di confronto con realtà alternative avrà inevitabili ricadute sulle scelte politiche e sulle prassi adottate in futuro in ambito sociale.

Sul piano più squisitamente psicologico c’è da tenere presente che in un contesto iper-normalizzato è estremamente facile cadere nel gruppo degli inadeguati. Ciò soprattutto nella fase adolescenziale in cui ribellione, ambivalenza e ricerca di un’identità propria possono portare a momenti di ansia, depressione e flessione nel rendimento. Sostenere che gli studenti diversi o con bisogni speciali sono un problema per il resto della scolaresca significa porre su tutti la spada di Damocle della stigmatizzazione che amplifica a sua volta il malessere e l’ansia di giudizio rispetto ad ogni comportamento “fuori dalla norma”.

Discriminare ed escludere le persone più svantaggiate significa costruire contesti sociali competitivi per ognuno di noi e vivere costantemente con l’angoscia di essere abbandonati nei momenti di difficoltà che chiunque può attraversare nel corso della vita.

* psicologo e psicoterapeuta

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Amazon ha fatto la rivoluzione. A quando la contro-rivoluzione degli umani?

next
Articolo Successivo

Architettura con poco o niente. Un padiglione di Alvaro Siza al Giardino delle Vergini di Venezia

next