Se fino a tre anni fa un politico si fosse sognato di sostenere con fare serio una tesi simile, sarebbe stato liquidato con lo sberleffo che per decenni è stato usato per (non) replicare alle sparate di Mario Borghezio. Fino a poco tempo fa al solo sentir parlare di “invasione straniera” la reazione prevalente sarebbe stata quell’imbarazzo che colse i più quando nel novembre 2010 un’allegra comitiva di esponenti di Lega e Pdl in gita a Monaco fu filmata mentre sfoderava il meglio del proprio repertorio: rutti e bestemmie tra i banchi della cattedrale. Nella convinzione sbagliata che quelle due parole sarebbero cadute nel dimenticatoio con la stessa rapidità con cui erano state pronunciate.
Invece questa sostanziale indifferenza, per quanto utile nell’immediato a non far precipitare il livello del dibattito, sul lungo periodo ha portato alla desolazione cui siamo costretti ad assistere oggi. Perché non passa giorno che Matteo Salvini, e con lui l’intero centrodestra, parlando di immigrazione non apra bocca per pronunciare l’espressione “sostituzione etnica“.
Ovvero lo stesso concetto declamato dal gruppo di skinhead del Veneto che il 29 novembre a Como fecero irruzione nella sede dell’associazione Como senza frontiere, leggendo un volantino contro “tutti coloro che mirano a sostituire questi popoli (europei, ndr) con non popoli”. E la medesima idea espressa qualche giorno dopo dagli 8 patrioti di Forza Nuova che si presentarono coraggiosamente a volto coperto sotto la sede de La Repubblica a rappresentare “ogni italiano tradito da chi con la penna favorisce Ius soli, invasione e sostituzione etnica”.
Basta mettere in fila i fatti per notare come Salvini usi gli stessi argomenti e lo stesso linguaggio di Casapound e Forza Nuova con il risultato di far assurgere – grazie alla potenza della propria ribalta mediatica – al rango di argomento politico il cosiddetto “Piano Kalergi“, teoria cospirazionista senza fondamento, insulto alla più infima delle intelligenze, di cui fino a poco fa qualsiasi simpatizzante del fascio littorio si sarebbe vergognato come un ladro a parlare ad alta voce al bar con gli amici ma che oggi riempie le webzine dell’ultra, le bacheche social di molti elettori e le bocche di quasi tutti gli esponenti del centrodestra.
E che tra le mani di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia finisce persino per diventare dottrina di governo, al punto che il Carroccio promette che “con Salvini” ci saranno “stop invasione, porti chiusi, rimpatri di massa e aiuti a casa loro”, pur conoscendo benissimo l’immane dimensione della balla. La quale balla fa il paio con i “600mila immigrati che vivono di espedienti e di reati” da rimandare a casa loro di cui parla Silvio Berlusconi. Tralasciando per questioni di spazio, tempo e carità di patria i proclami di Giorgia Meloni.
Ma che differenza passa tra il dire che bisogna salvaguardare la “razza bianca” (come ha fatto un altro illuminato leghista, Attilio Fontana) e inondare il dibattito con il mantra della “sostituzione etnica”? Nessuna, entrambe le espressioni riflettono la stessa distorta percezione, la stessa visione del mondo strumentale alla conquista del voto di chi legittimamente cerca dalla politica spiegazioni al complesso fenomeno delle migrazioni. E perché allora la prima viene giustamente stigmatizzata mentre la seconda passa senza problemi nella discussione pubblica senza che nessuno trovi necessario sottolinearne l’evidente pericolosità? Perché in un’Italia in cui il vento del razzismo gonfia le vele del centro e dell’ultradestra a 20 giorni dalle elezioni non c’è nessuno che abbia la forza né la voglia di farlo.
Non il M5s, il primo a intestarsi la battaglia contro le ong “taxi del Mediterraneo“. Non certo il Pd, il cui ministro dell’Interno Marco Minniti pochi giorni fa spiegava che “Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione” (ma non la gestione dell’accoglienza, questione ben più importante), facendo proprio il presunto nesso causale tra l’atto di violenza fascista e la presenza dei migranti di cui parlano Lega, Forza Nuova e Casapound fin dagli attimi immediatamente successivi alla tentata strage.
Non ci sarà bisogno di attendere il lavoro che gli storici affronteranno tra qualche decennio per ricostruire il contesto in cui una bella mattina del febbraio 2018 uno che andava in giro con il simbolo di Terza Posizione tatuato sulla testa rasata, candidato dalla Lega Nord nel 2017 e che si scambiava vigorosi saluti con il leader del suo partito esibendo la croce celtica tatuata sul braccio (nella foto), è uscito di casa con la pistola e ha sparato ai primi 6 immigrati che ha incontrato per strada.