Il Nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza ha eseguito ispezioni con acquisizione di documenti negli uffici dei principali operatori di telefonia – Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb – e nella sede Assotelecomunicazioni di Roma. Le verifiche, richieste dall’Autorità garante concorrenza e mercato, hanno l’obiettivo di far luce su presunte intese non autorizzate tra operatori sulle tariffe, che avrebbero limitato la concorrenza.
L’Antitrust punta in particolare ad accertare se le società abbiano sottoscritto accordi sulla fatturazione a 28 giorni e sugli aumenti tariffari collegati. Gli operatori hanno annunciato il ritorno alla tariffazione a 30 giorni a partire da aprile, ma non intendono restituire ai clienti i soldi in più incassati a partire dal 2015. Tim e Vodafone, come lamentato dal Codacons, hanno “aumentato quasi contemporaneamente e nella identica misura le tariffe praticate ai propri clienti, di fatto annullando del tutto i vantaggi determinati dallo stop alle bollette ogni 28 giorni”. Per questo l’associazione consumatori aveva presentato un esposto all’authority.
“Il supposto coordinamento tra Tim, Vodafone, Fastweb e Wind Tre -si legge in una nota dell’Antitrust – sarebbe finalizzato a preservare l’aumento dei prezzi delle tariffe determinato dalla iniziale modifica della periodicità del rinnovo delle offerte (da mensile a quattro settimane), e a restringere al contempo la possibilità dei clienti-consumatori di beneficiare del corretto confronto concorrenziale tra operatori in sede di esercizio del diritto di recesso. Per raggiungere tale finalità, i quattro operatori avrebbero concertato la variazione delle condizioni contrattuali comunicate ai propri clienti in ottemperanza agli obblighi normativi” conclude la nota.
L’accelerazione presa dall’Antitrust, che ipotizza un coordinamento, ovvero un accordo, tra gli operatori vietato dalla legge, è solo l’ultimo tassello di una vicenda che va avanti da tempo, con l’interessamento di Agcom, Tar, Governo e Parlamento. Tutto era nato dalla decisione, presa alla spicciolata dagli operatori telefonici fissi e mobili, di fatturare i servizi su una cadenza di 28 giorni, e non propriamente mensile, con il risultato di imporre ai clienti tredici fatture all’anno. A intervenire è stata per prima l’Agcom, imponendo la fatturazione su base mensile per la telefonia fissa e, in seguito, con vere e proprie multe: contro la delibera, gli operatori hanno presentato un ricorso, respinto nei giorni scorsi dal Tar del Lazio, che ha però sospeso i rimborsi.
Il Tar sempre nella seduta di lunedì scorso ha invece congelato il capitolo rimborsi. In attesa del giudizio di merito fissato per il prossimo 31 ottobre, il Tribunale ha infatti sospeso la restituzione degli introiti non dovuti che era prevista nella delibera dell’Authority sulle comunicazioni. In precedenza, parlamentari e alcune associazioni dei consumatori avevano presentato esposti sia all’Agcom sia all’Antitrust denunciando un aumento di circa l’8,6% connesso al ritorno alle fatture a 30 giorni, ipotizzando un accordo fra le compagnie che avevano annunciato il ritorno alla fatturazione ‘solare’ a partire da aprile.
Adeguandosi alla fatturazione mensile, nulla poteva infatti vietare agli operatori di aumentare i prezzi, che sono puntualmente scattati per compensare il ‘bucò dovuto alla fatturazione mensile e mantenere inalterato l’introito su base annua. Da qui sono partiti gli esposti delle associazioni dei consumatori all’Antitrust, che non sono rimasti inascoltati. L’Autorità rileva che “Fastweb, Tim, Vodafone e Wind Tre hanno comunicato quasi contestualmente ai propri clienti” le novità sulla fatturazione e “di voler attuare di conseguenza una variazione in aumento del canone mensile per distribuire la spesa annuale complessiva su 12 mesi, anziché 13″.
Il supposto coordinamento, quindi, “sarebbe finalizzato a preservare l’aumento dei prezzi delle tariffe“, ma anche “a restringere la possibilità dei clienti-consumatori di beneficiare del corretto confronto concorrenziale tra operatori in sede di esercizio del diritto di recesso. Per raggiungere tale finalità, i quattro operatori avrebbero concertato la variazione”. In sostanza, l’Antitrust osserva che se tutti aumentano insieme, la possibilità di cambiare operatore e, quindi, risparmiare perde di efficacia. L’Autorità, tra l’altro, non esclude la possibilità che l’intesa “abbia una durata e una portata più ampia e risalga all’introduzione stessa della cadenza delle quattro settimane dei rinnovi e all’incremento del prezzo unitario delle prestazioni offerte che ne è conseguito”.
Esultano, naturalmente, le associazioni dei consumatori, mentre Tim, Vodafone Wind e Asstel respingono ogni addebito assicurando di non aver adottato alcuna pratica anticoncorrenziale.