A casa nostra, Mantova, hanno recentemente scoperto che il Duce è  stato un “dittatore liberticida”. Lunedì il Consiglio comunale ha revocato la cittadinanza onoraria concessa il 21 maggio del 1924 a Benito Mussolini. Temevamo di avere avuto le traveggole, invece no: la mozione di Pd, Sinistra italiana e Lista Palazzi (il sindaco) è stata votata in modo pressoché compatto dalla maggioranza. Così, non senza mal di pancia vari, a Lui è stata tolta l’antica onorificenza. Ha detto il sindaco poco prima della decisione: “Il voto, che altrove ha diviso le forze politiche, qui non determinerà gli amici e i nemici di Mussolini. Stiamo solo ragionando se la cittadinanza a Mussolini oggi rientri o meno nei valori che questo consiglio e questa città intendono celebrare”. La domanda, spiace dirlo, è priva di senso perché ha una risposta ovvia, dato che la nostra Repubblica nasce con una legge fondamentale che ha l’antifascismo come precondizione. A questo proposito ci sia consentito citare ancora una volta Domenico Gallo, che sottolineando come l’antifascismo della Carta non si riduca alla XII disposizione transitoria e finale, ha scritto: “L’antifascismo è il presupposto della Carta perché sta nei fondamenti e nell’architettura del sistema. La Costituzione rende impossibile ogni forma di dittatura della maggioranza”. Dunque non è questione di valori (la Repubblica italiana è antifascista), è questione di conti (mai fatti davvero) con la storia. Conti che non si regolano cancellando gli avvenimenti del passato: è assurdo chiedersi oggi se Mussolini sia degno della cittadinanza. La risposta è, naturalmente, no. Il punto però non è questo, il punto è capire dove ci porta il tentativo di manomettere il passato, alla luce di nuovi valori, giustamente condivisi.

Ma perché l’argomento suscita ancora tanto clamore? Perché non abbiamo davvero mai  affrontato la storia, le macchie, le responsabilità del Ventennio. Frasi come “erano tutti fascisti” sono ancora oggi ripetute senza che siano sollevate obiezioni di sorta: così è passata la tesi che tutta la colpa fosse del Re e del Duce. Che un popolo intero sia stato soggiogato. Ma, per paradosso, gli italiani sono stati anche “tutti antifascisti”: si citano ossessivamente i 12 che non giurarono (ignorando gli altri 1840 professori universitari che s’inchinarono al regime) per dimostrare che gli eroi c’erano (statisticamente erano una cifra irrilevante). La Resistenza, giustamente celebrata  il 25 aprile, è diventata la guerra di tutti: si è dimenticato che è stata combattuta da pochi eroi coraggiosi, molti dei quali ci hanno lasciato la pelle. Per capire come la questione delle responsabilità sia stata rimossa – in favore di un’oleografia che non aiuta il radicamento dei valori antifascisti –  basti ricordare che “Una guerra civile” di Claudio Pavone è uscito solo all’inizio degli anni 90. Passare il cancellino sulla Storia, nel ridicolo tentativo di rifarsi una verginità, non serve a nulla: non ci rende migliori e non ci rende nemmeno più antifascisti. La riduzione del dibattito pubblico a questioni di maniera è anzi dannosa. L’abbiamo scritto più volte: di questo passo, nella furia censoria, dovremo demolire tutta l’architettura fascista (nel caso di Mantova perfino il cimitero o il centralissimo Palazzo dell’Agricoltura). È assurdo pensare che l’oblio possa rappresentare un antidoto al ripetersi della Storia: è vero il contrario. La città che tributò l’onore della cittadinanza al Duce (tra l’altro furono molte nel 1924, per l’anniversario della “Rivoluzione fascista”) non è, ovviamente, la stessa di oggi. Ma, come ha ricordato il presidente locale dell’Anpi, Luigi Benevelli (un signore che certo non è sospettabile di nostalgie fasciste), quella Mantova fu eccome fascista: “La mia personale opinione”, ha dichiarato a La voce di Mantova, “è che quella cittadinanza è documento della volontà dei mantovani. Mantova è stata una provincia molto fascista: prima, durante, e anche dopo il fascismo, ai tempi della Repubblica sociale”.

Se il sindaco e la giunta vogliono davvero rinverdire la fede antifascista, perché non intitolano una strada a Walter Cundari, nome di battaglia Wolf, comandante partigiano, nonché ex sindacalista e dirigente del Pci? Sarebbe un tributo a quei valori nonché a un grande uomo. Fidatevi di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e ascoltare le sue storie di montagna. Ci ha fatto scoprire, da adolescenti, la letteratura sulla Resistenza; raccontato che atrocità è stata quella guerra fratricida; confessato quanto era difficile convivere con i ricordi e con il dolore di aver ucciso, seppure per una causa giusta che mai aveva messo in discussione. Al comandante Wolf una strada, una scuola, una biblioteca Mantova dovrebbe davvero intitolarla: per ricordare chi, a poco più di vent’anni, ha avuto il coraggio di mettere in gioco la vita per un’idea di libertà. Questo è il valore dell’esempio.

Versione estesa del commento pubblicato oggi su Il Fatto Quotidiano

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