Partendo dall’estrema destra. Abbiamo gli squadristi. Certo abbiamo approvato una legge che dovrebbe impedire all’elettricista sotto casa di esporre gagliardetti di Salò e busti del Duce, ma intanto esponiamo regolarmente in televisione Forza Pound e Casa Nuova. Poi c’è Giorgia Meloni. Che è un caso facilmente riassunto dai suoi manifesti. Lei è convinta di essere Nicole Kidman, ma basta dare un’occhiata dal vivo per capire che siamo sempre alla versione romanesca di Alessandra Mussolini.

Un altro passetto e si arriva a Salvini. Lui da grande voleva essere Marine Le Pen, ma siccome è furbo, preso atto della labbrata ricevuta in Francia da chi presentava un programma rossobruno ha eliminato il rosso. Certo parla ancora dell’Euro, ma sapendo benissimo che in un governo Tajani non gli toccherà il compito di Varoufakis, andare a Bruxelles ed essere sbertulato dai tedeschi. Erediterà quindi, eventualmente, la poltrona di Minniti e riuscirà a farlo rimpiangere. Oscilleremo tra quelli con quella faccia un po’ così perché hanno visto Genova 2001 e continuano a stare in polizia, e un desiderio di High school americana, ah se l’insegnante eroe avesse avuto un kalashnikov che bel duello avremmo visto.

Un altro passetto e siamo alla destra cleptocratica di Berlusconi. Difficile aggiungere qualcosa alla sua biografia, ma vedrete che ci riuscirà. Un altro ci porta al di là del crinale che in questo sventurato paese dovrebbe dividere la sinistra dalla destra. Il Pd renziano. Che ormai è totalmente un partito di destra tecnocratica. Alla Macron o alla Ciudadanos, quelli per cui il manganellatore madrileno è troppo tenero con gli elettori catalani. Vedrete che alle europee i tre andranno insieme. Del resto le liste sono già infarcite di nomenklatura del vecchio centrodestra “presentabile” e peccato che Gianfranco Fini si sia fatto intortare dalla Tulliani, perché a Bologna c’era un altro posto in attesa.

Ed eccoci a LeU. Dispiace per brava gente come Civati e Fassina, ma si tratta di una normale destra socialdemocratica. Sono autori o complici di ogni passaggio di demolizione dei diritti sociali del lavoro in questo paese. Sono stati la concessionaria italiana del clintonismo bombarolo in Kosovo, del blairismo bombarolo in Iraq, di Schroeder e del suo Harz IV, ma a differenza loro non hanno firmato prima i contratti per le conferenze milionarie post carriera, quindi tocca continuare con la politica. Stravedevano dodici mesi fa per Schulz, e mi dicono che da quando Corbyn ha saputo che gli hanno rubato lo slogan, for the many not the few, sembri Pappagone “Aglio e fravaglio fattura ca non quaglia”. Hanno guidato da dirigenti o leader maximi una navigazione che li ha portati dal 30% ad uno sperato 6%, ma sono sempre certi della loro e nostra rotta.

Poi ecco i 5stelle. Qui non è stato facile. Ci sono voluti 5 anni a battere sui giornali e in Tv mazzate come Thor per piegare a destra una cosa ancora informe ma che voleva Rodotà presidente. Missione riuscita con Di Maio. Alle caratteristiche naturaliter di destra, come i ridicoli contratti ai parlamentari in spregio della più banale norma democratico costituzionale, all’ispirazione legge e ordine che solo in questo sciagurato paese sfugge al copyright conservator-reazionario, a furia di dipingerli come il male assoluto si è aggiunta la totale assenza nei 20 punti di ogni accenno ad invertire la deriva di sottomissione del lavoro al capitale, oltre che la dirimente questione del rispetto del fiscal compact, 40 punti di Pil in meno di debito che denota un odio antistatale alla Ron Swanson di Park and recreation, “dissanguare la bestia marcia dall’interno”. Però bisogna aggiungere che i 5 stelle sono innocenti. Fin qui non hanno colpe di governo, se non oneste incompetenze locali. Riserviamogli quindi la fiducia nella versione Davigo. Per adesso non li abbiamo scoperti.

Resta una piccola pattuglia che giustamente prende le mosse da un ex manicomio criminale e che è talmente consapevole delle condizioni che non si pone neppure l’obiettivo di sbarcare in Parlamento col 3%. Sanno che la Lunga Marcia era, al confronto, la passeggiatina serale col cagnolino.

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