di Francesco D’Alfonso
Più ci avviciniamo alle elezioni e più i politici le sparano grosse quanto a promesse elettorali. Nelle prossime settimane ci diranno addirittura che, se li votiamo, ci regaleranno un “Paese nuovo”. Beh, in effetti forse è meglio di no. Questo lo hanno già fatto: grazie alla loro operosa attività, ogni anno centinaia di migliaia di italiani se ne vanno dall’Italia in cerca di miglior fortuna. Meglio non sbilanciarsi troppo, allora.
Ci accontentiamo delle loro promesse più di basso profilo, ovviamente irrealizzabili, ma fortunatamente meno pericolose. Tutte queste promesse, tuttavia, non fanno altro che evidenziare una condizione di profondo malessere del nostro Paese, che ha forse radici storiche (la cronaca giornaliera ce lo ricorda, tuttavia, continuamente). Solo a “pochi eletti” che fanno parte della politica, infatti, importa davvero la sorte dell’Italia, intesa come comunità di persone, ma lo stesso dicasi per la propria regione, la propria città, ecc..
Quel che conta, invece, è ottenere dall’incarico politico un vantaggio personale, piccolo o grande che sia. Se poi i vantaggi sono enormi, come nel caso dei nostri parlamentari, ecco che allora la candidatura diventa un vero e proprio investimento per il (proprio) futuro. Una immediata conferma di ciò viene dalla solita “lotta” per le candidature alle prossime elezioni politiche. Tutti vogliono esserci, a prescindere da quello che hanno fatto e/o sanno fare. In questa “miserabile” realtà, diversi politici hanno nel tempo creato, con la collaborazione a volte anche della malavita, delle vere e proprie reti clientelari, più o meno estese, grazie alle quali, in cambio di benefici abbastanza sostanziosi concessi (come i posti di lavoro), hanno ora a disposizione una massa di voti, da utilizzare per qualche decennio, fino a che morte non li separi (dai voti).
Questa tipologia di voti sono, tuttavia, ad oggi difficilmente attribuibili a nuovi soggetti a causa della crisi economica, dei vincoli Ue, eccetera. Ecco, quindi, che si attivano i più abili “mercanti” della politica al fine di offrire a più utenti possibile il proprio prodotto. In sostanza, il clientelismo da “territoriale” diviene ora “nazionale”, con una offerta differenziata (pensioni, stipendi) e di più basso profilo (il voto in cambio di pochi spiccioli). Teoricamente, i decenni di “fregature” subite dovrebbero averci reso indenni da queste promesse da quattro soldi.
Tuttavia, il tempo spesso cancella il passato e, poi, il fatto che ci sia sempre più gente che non arriva a fine mese non può che aiutare questi “imbonitori”. Siamo, cioè, al vero e proprio sciacallaggio, ossia all’approfittamento dell’altrui condizione di bisogno. Questa politica a spot non fa, quindi, altro che tentare di approfittare, miserabilmente, della condizione di arretratezza economica, sociale e culturale del nostro Paese. Questa condizione, tuttavia, è stata creata ad arte proprio dalla classe politica poiché la debolezza economica, sociale e culturale rende la gente meno autonoma e capace di difendersi da sé, in sostanza, più dipendente, guarda caso, proprio dalla politica.
Anche da queste elezioni c’è da aspettarsi davvero poco di buono (salvo miracoli). In linea generale, infatti, è assai difficile pensare che persone che si accapigliano per una candidatura elettorale, magari anche dopo essere già state elette svariate volte, e che, allo stesso tempo, cercano di comprare il nostro voto per pochi spiccioli possano veramente pensare a un futuro diverso dal loro. Eppure, il rimedio per limitare, almeno parzialmente, il fenomeno descritto ci sarebbe e, teoricamente, è davvero facile da realizzare. Basterebbe, infatti, semplicemente (almeno) dimezzare i benefici economici ottenibili dai parlamentari, impedendo, altresì, agli stessi di candidarsi per più di due volte, ed estendendo il divieto ai parenti stretti. Ma, per questo, forse serve davvero un “Paese nuovo”.
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