Li invita a “dimostrare la vostra innocenza” in quanto indagati, dice che con loro non parlerà finché ci sarà di mezzo la magistratura e li sollecita a tacere. Con i giornalisti di Fanpage il garantista Matteo Renzi si scopre giustizialista, nonostante la trentina di impresentabili che popolano le liste elettorali dem. Sull’inchiesta condotta dalla procura di Napoli e dalla testata online partenopea sullo smaltimento dei rifiuti in Campania il segretario del Pd evita il punto, che non è giudiziario ma politico: perché è così facile per Nunzio Perrella, ex boss dei rifiuti, farsi ricevere dal figlio del presidente della Regione, e offrire di smaltire tonnellate di monnezza?
I fatti. Ci sono due indagini che si intrecciano – una giudiziaria, l’altra giornalistica – sul modo in cui in Campania vengono smaltiti i rifiuti. Nelle prime due puntate della sua inchiesta, Fanpage ha mostrato come un dirigente della Sma Campania – società di tutela dell’ambiente, dipendente dalla Regione – chieda una tangente per affidare lo smaltimento di fanghi alla società rappresentata da un ex boss della camorra, come quest’ultimo riesca senza problemi a farsi ricevere da Roberto De Luca per parlare dello smaltimento di ecoballe risalenti all’emergenza rifiuti e come l’uomo che ha potato l’ex camorrista da De Luca jr chieda una mazzetta del 15% comprensiva della “quota di Roberto”. La Procura di Napoli ha iscritto nel registro degli indagati 17 persone tra cui il rampollo del plenipotenziario del Pd in Campania, con accuse che vanno dalla semplice corruzione, alla corruzione aggravata dalla finalità mafiosa fino al finanziamento illecito dei partiti.
Di fonte a questo quadro, Renzi e De Luca scelgono la medesima strategia: non rispondono nel merito e mettono nel mirino Fanpage. Ognuno con il proprio stile. De Luca lo fa con un post su Facebook. Il governatore parla di “operazioni oscure di aggressione personale e politica. Oltre ogni decenza. Oltre ogni vergogna”. Assicura che “noi siamo espressione di un’esperienza amministrativa che è un modello di trasparenza e di rigore su cui possiamo sfidare chiunque” e che “per il resto chi sbaglia va a casa”.
Come ha fatto prontamente il consigliere delegato di Sma Campania, Lorenzo Di Domenico, filmato mentre parla di tangenti con Perrella. Evidenza giornalistica bollata in un primo momento dal governatore come “effervescenze“. E come ha fatto anche Roberto De Luca, che ha lasciato la poltrona di assessore al Bilancio del Comune di Salerno. In base al sillogismo impostato da De Luca, quindi, se chi sbaglia va a casa e Di Domenico e De Luca jr sono andati a casa, i due avrebbero sbagliato e, sempre secondo il suo ragionamento, le dimissioni avrebbero la valenza di un’ammissione di colpa. Nel post il presidente si rivolge poi, senza nominarli, ai giornalisti di Fanpage: “Voglio rivolgere ai camorristi e a chi li ingaggia, un mio messaggio sobrio e amichevole: vi faremo ringoiare tutto“.
Matteo Renzi sceglie altri metodi. Aveva da tempo in programma per sabato un’intervista nella redazione di Fanpage. Il segretario del Pd non ha evitato l’appuntamento, ma si è sottratto alle domande dei giornalisti: “Penso che abbiate il diritto e il dovere di dimostrare la vostra innocenza – ha detto guardando in camera l’ex premier ai membri della testata, il cui direttore Francesco Piccinini e il cronista Sacha Biazzo sono indagati nella medesima inchiesta per induzione alla corruzione – non posso commentare finché c’è una indagine della magistratura che riguarda anche voi. Finché c’è la magistratura i politici è meglio che tacciano. E questo vale anche per voi“.
Un ragionamento quello dell’ex premier, che persino negli studi di Fanpage si è dichiarato “garantista”, che collide con un fatto: nelle sue liste il Pd ospita qualche decina di impresentabili, molti dei quali indagati. Oltre che con il funzionamento del diritto: nell’ordinamento italiano l’indagato non ha alcun “diritto e dovere” di dimostrare la propria innocenza perché l’onore della prova è a carico dell’accusa. E chi come Matteo Renzi è laureato in giurisprudenza dovrebbe conoscere una nozione così basilare. E poi in che senso i giornalisti dovrebbero tacere? In quanto indagati non dovrebbero pubblicare le restanti 5 puntate dell’inchiesta? Dovrebbero esimersi dall’affrontare l’argomento? Non dovrebbero più seguire e raccontare l’inchiesta, quella giudiziaria, della Procura di Napoli? Come fa un segretario di partito a chiedere a dei giornalisti di “tacere”?