Secondo il Centro studi di Confindustria (Csc), il fenomeno dei “cervelli in fuga” ci costa 14 miliardi l’anno. A volte qualcuno ritorna, ma solo se, oltre a saper fare ricerca, sa anche cercare i mezzi per farla. E’ il caso della dottoressa Giulia Roda. Nata Bologna 37 anni fa, Giulia ha titoli di studio di tutto rispetto: laurea in Medicina e chirurgia (2005), specializzazione in Gastroenterologia ed endoscopia (2009) e un dottorato in Scienze dell’alimentazione e nutrizione (2013).
Dopo la specializzazione a Bologna, la dottoressa Roda completa il dottorato di ricerca presso il mitico Mount Sinai Hospital di New York, lavorando per anni sotto la guida di un profeta dell’immunologia, Lloyd Mayer. Focus della ricerca sono due malattie spietate che colpiscono soprattutto i giovani: la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa.
“Sono malattie lifetime – spiega Giulia – cioè croniche, e non c’è una cura risolutiva. Spesso insorgono in giovane età, tra i 15 e i 30 anni, e causano gonfiore addominale, diarrea, sangue nelle feci, debolezza e altre complicanze, che impongono farmaci biologici e talvolta interventi chirurgici che arrivano sino alla rimozione del colon. E’ molto dura far capire a un giovane che ha una malattia cronica. Anche quando otteniamo un miglioramento, il paziente vive costantemente col timore che il sintomo si ripresenti”. Nel settembre del 2013, Lloyd Mayer muore per un tumore al cervello. Pochi giorni dopo suo figlio rivela che suo padre, prima di morire, gli aveva detto di aver scoperto una molecola che avrebbe potuto curare la malattia di Crohn e che in sei anni avrebbe portato il farmaco sul bancone. Giulia, responsabile per gli sviluppi di questa molecola, decide di raccogliere il testimone della ricerca e affianca, come ricercatrice, il professor Jean-Frederic Colombel, altro luminare nelle malattie infiammatorie croniche intestinali chiamato dalla Francia a sostituire Lloyd Mayer.
“Un aspetto meraviglioso del nostro lavoro – racconta – è l’affetto che si stabilisce con i pazienti. Li incontri da giovani e impari a conoscerli in tutte le loro paure e aspettative. E’ un rapporto duraturo. Ricordo una ragazza giovane, giunta a Bologna con la mamma dalla Sardegna. Era piena di ulcere su tutto il corpo, magrissima, debole e ovviamente depressa. La mamma era spesso in lacrime. La diagnosi era di pioderma gangrenoso e malattia di Crohn. Con la terapia, alla dimissione era già visibile un netto miglioramento, ma spesso la malattia è molto severa e in poco tempo esauriamo il nostro ‘armamentario terapeutico’. Una donna di 35 anni non rispondeva ai farmaci convenzionali. Aveva un figlio, ma a causa della malattia aveva perso il lavoro. Quando la diarrea ti colpisce 30 volte al giorno devi essere ricoverato. Dopo che la paziente aveva girato più specialisti e perso nel frattempo 20 chili, sono riuscita a individuare la giusta terapia che si è conclusa con un’operazione. Malgrado oggi debba portare il sacchetto è tornata a vivere”.
Nel 2016, la dottoressa Roda decide di tornare a Bologna, sia per stare più vicina alla famiglia, sia per portare avanti il lavoro grazie a un contratto triennale con il consorzio interuniversitario “Inbb” (Istituto nazionale biosistemi e biostrutture) che finanzia un posto di ricercatore presso l’università di Bologna, ma non trova nessuna struttura a cui appoggiare la ricerca. Tornare negli Usa? Ritentare in Europa? Incassata la botta, Giulia non si arrende. Scrive un progetto per avere dei finanziamenti partecipando a due bandi delle due principali organizzazioni mondiali per la ricerca nelle malattie intestinali, la European Crohn’s and colitis organization (Ecco) e la International Organization for the study of Inflammatory bowel disease (Ioibd).
Li vince entrambi. “Per partecipare è necessario avere l’appoggio di un’istituzione ospedaliero-universitaria – racconta Giulia – appoggio che mi è stato offerto dall’Humanitas di Milano, grazie al professor Silvio Danese, uno dei massimi esperti della materia a livello mondiale, che ha creduto nel mio progetto. La molecola che sto sviluppando potrebbe rappresentare nei prossimi anni, un’ulteriore opzione terapeutica per i pazienti affetti da malattie di Crohn”. Le chiedo chi è il paziente che ricorda di più: “Un ragazzo di 28 anni – risponde – che ho seguito negli Usa, con una rettocolite ulcerosa molto estesa e severa. Era molto spaventato ma con la terapia biologica ha avuto un netto miglioramento, tanto da partecipare alla maratona di New York dopo 2 anni dalla diagnosi della malattia “.