La prima relazione al Parlamento sugli indicatori di benessere equo e sostenibile stima l'andamento del "reddito disponibile aggiustato pro capite". In cui è compresa "la valutazione monetaria dei servizi forniti dalle amministrazioni pubbliche e dalle istituzioni sociali senza fini di lucro". Si prevede anche un calo di 0,2 punti dell'indice di disuguaglianza tra ricchi e poveri "grazie alle politiche di contrasto alla povertà"
Un aumento “superiore ai 1000 euro” in tre anni del reddito disponibile aggiustato pro capite. Che dovrebbe salire dai 22.252 euro a famiglia del 2017 agli oltre 24mila nel 2020. Portando con sé un calo di 0,2 punti dell’indice di disuguaglianza. Sono le previsioni fatte dal Tesoro nella prima relazione sugli indicatori di benessere equo e sostenibile inviata al Parlamento dal ministro Pier Carlo Padoan. Ma attenzione: la misura del “reddito disponibile aggiustato” annuale, spiega il rapporto, comprende anche “la valutazione monetaria dei servizi forniti in natura alle famiglie dalle amministrazioni pubbliche e dalle istituzioni sociali senza fini di lucro (essenzialmente per istruzione e sanità)”. Vale a dire che vengono conteggiati anche gli aiuti che arrivano dal terzo settore.
Quanto alla disuguaglianza, misurata in base al “rapporto fra il reddito equivalente totale ricevuto dal 20 per cento della popolazione con più alto reddito e quello ricevuto dal 20 per cento della popolazione con il più basso reddito”, secondo il modello del Mef “avrebbe registrato una riduzione di un punto decimale, scendendo a 6,2” e “nel 2018 l’indicatore mostra un ulteriore miglioramento rispetto al 2017, riducendosi a 6,1“. Un andamento che viene spiegato con il “rafforzamento delle misure a sostegno dei redditi più bassi, entrate in vigore nel 2018”. In particolare si fa riferimento all’estensione della no tax area e all’aumento della quattordicesima per i pensionati e all’avvio del Reddito di inclusione, la nuova misura universale di contrasto alla povertà.
L’incremento del reddito equivalente totale percepito dal quinto più basso della distribuzione dei redditi, “pari al 2 per cento”, è riconducibile secondo gli analisti del Mef “in misura prevalente all’implementazione del SIA, alla modifica della disciplina delle detrazioni Irpef per i redditi da pensione e alla modifica della disciplina della quattordicesima per i titolari di redditi da pensione”. Il documento elenca anche altri interventi inseriti nella manovra: dall'”estensione dei limiti di reddito entro i quali si può beneficiare della tassazione sostitutiva dei premi di produttività“, alla “esenzione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria percepiti dalle persone fisiche, derivanti dall’investimento nei Piani individuali di risparmio“. Più avanti si legge però che queste ultime misure “esercitano i loro effetti in misura maggiore sulla parte alta della distribuzione”: vale a dire che avvantaggiano i più ricchi.