Fascismo. Sono fascisti il quattro o cinque uomini a volto coperto che stanotte hanno accoltellato e ferito due militanti di Potere al popolo mentre attaccavano manifesti elettorali a Perugia. Uno ha riportato ferite per le coltellate alla schiena e alla gamba, l’altro un trauma cranico per le botte. Un’aggressione avvenuta con le modalità delle decine e decine di aggressioni fasciste che si ripetono con frequenza crescente ogni due o tre giorni in tutta Italia, nel silenzio della grande stampa e della tv, e che sono mappate qui.
Due settimane fa a Pavia: 25 skinheads a volto coperto contro cinque ragazzi inseguiti al grido di “negri figli di puttana”. Il giorno precedente a Roma: due militanti di Casapound condannati per aver picchiato e derubato un ragazzo. Qualche giorno prima l’attentato fascista di Macerata a opera del candidato della Lega Luca Traini che apre il fuoco prendendo di mira i neri e ferendone sei. A fine gennaio a Torino alcuni studenti picchiati all’uscita di scuola dai militanti di Blocco studentesco. Due settimane prima a Genova un militante antifascista viene circondato, picchiato e accoltellato due volte alla schiena da militanti di Casapound. La lista si allunga e le modalità si ripetono: la premeditazione, i coltelli, il volto coperto, la vigliaccheria dei molti contro pochi.
Per la tv non esistono, per i giornali sono “risse”. La parola con la Effe sui media mainstream non si scrive e non si dice. Neppure per raccontare l’aggressione di stanotte a Perugia, dove quattro o cinque fascisti armati, vestiti di nero e a volto coperto, hanno assalito due trentenni colpevoli di attaccare manifesti elettorali della lista Potere al popolo. Li hanno attaccati per i seguenti motivi.
Il primo è che nel suo programma Potere al popolo chiede lo scioglimento delle organizzazioni fasciste così come prevede la Costituzione e chiede il sequestro dei loro beni come avviene per i beni dei mafiosi. Insiste a chiederlo anche se Casapound e Forza Nuova sono state ammesse alle elezioni dal ministero dell’Interno e dunque dal ministro Minniti. Il legame di Casapound con il fascismo non è presunto ma confessato e anzi rivendicato dal loro stesso leader Di Stefano: “Siamo gli eredi della tradizione della Repubblica Sociale Italiana, siamo fascisti, non è un reato”. Di Stefano ignora la Costituzione che vieta espressamente la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista, ignora la legge Scelba del 1952 che ha introdotto il reato di apologia del Fascismo, ignora la legge Mancino che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali e che punisce l’utilizzo di simbologie nazifasciste.
Il secondo motivo è che i militanti di Potere al popolo fanno quello che faceva Sandro Pertini: “Nostro dovere è quello di impedire ai fascisti di manifestare”, gridava il presidente partigiano il 30 giugno 1960 alla folla che era accorsa a Genova da tutta Italia per impedire al Msi di svolgere il proprio congresso nella città medaglia d’oro della Resistenza (il discorso è riproposto da Christian Raimo). I militanti di Potere al popolo fanno quel che fece quella folla: opporsi alle manifestazioni dei movimenti che si dichiarano fascisti anche quando vengono autorizzate poiché sarebbe come consentire di manifestare e fare proselitismo ai mafiosi, ai pedofili, ai camorristi o ad altre categorie di criminali organizzati che spesso, come i fascisti, hanno avuto agibilità politica e addirittura seggi nelle istituzioni.
Il terzo motivo è che è Potere al popolo, come ho raccontato qui.
Il quarto motivo è che durante i rari confronti tv ai quali i candidati di Potere al popolo vengono invitati fanno quel che faceva Berlinguer: rifiutarsi di partecipare al dibattito. “Io con i fascisti non parlo”, diceva il segretario del Pci, ricordando che per la legge italiana il Fascismo non è un’opinione ma un crimine. “Il Fascismo – spiegò Berlinguer in tv per motivare il suo rifiuto – non è stato uno scherzo, è stata un’ondata di barbarie che ha minacciato di travolgere il mondo, di trasformare l’Europa in un immenso campo di concentramento nazista. In Italia sappiamo cos’è stato il Fascismo. Non solo la soppressione di ogni libertà, non solo lo sfruttamento dei lavoratori, non solo la miseria, l’abbandono delle regioni meridionali, l’asservimento al nazismo, il massacro dei comunisti, di partigiani, di giovani che si opponevano al Fascismo e difendevano la libertà e indipendenza nazionale del nostro paese”.
Il quinto motivo è che l’antifascismo di Potere al popolo non si limita a essere di facciata, a corrente alternata come quello del Partito Democratico. Il Pd avrebbe certamente indetto una manifestazione di protesta se Traini avesse sparato ai partigiani superstiti ma ha desistito e invitato al silenzio poiché Traini non ha sparato ai partigiani: ha sparato ai neri. “Si è fatto giustizia da solo”, secondo l’opinione del ministro Minniti, il quale si è vantato di aver previsto l’attentato e ha spiegato che per questo aveva sottoscritto gli accordi Italia-Libia. Dunque: nessuno pensi di farsi giustizia da solo, a sparare ai neri ci penserà la guardia costiera libica.
Travolti dalle proteste e dallo sdegno dei loro stessi iscritti, l’Anpi, l’Arci, la Cgil, Libera e il Pd hanno indetto una manifestazione antifascista a molti molti chilometri e molti molti giorni di distanza dall’attentato di Macerata: il 24 a Roma, lontano dai neri feriti e dalla propaganda razzista, per esibire l’antifascismo in tv a ridosso delle elezioni e ricondurre il Fascismo e l’Antifascismo a un’innocuo match tra tifosi di Mussolini contro tifosi dei partigiani e non invece a quello che il Fascismo è stato e del quale oggi rivendica di essere erede: la soppressione dei diritti dei lavoratori ai quali era vietato scioperare, organizzarsi in sindacati, rivendicare condizioni degne di lavoro. Gli abusi nei confronti delle donne considerate solo come fattrici o oggetti sessuali. La soppressione dei diritti civili, da quello di votare a quello di manifestare, scrivere, esprimere liberamente il proprio pensiero, organizzarsi in partiti politici: gli italiani erano obbligati a vivere in un regime poliziesco che reprimeva ferocemente ogni tentativo, anche pacifico, di esprimere un’idea che non fosse quella fascista. Le folli spese militari del regime fascista, che si armava mentre gli italiani si impoverivano e pativano la fame. Le guerre sanguinarie coloniali e quella al fianco dei nazisti: il sacrificio di milioni di innocenti. Il razzismo che – prima che contro gli ebrei con le odiose leggi razziali e le deportazioni di uomini, donne e bambini martirizzati nei campi di sterminio – si è accanito contro gli africani: derubati, uccisi e ridotti in schiavitù dai fascisti che hanno invaso le loro terre. La persecuzione degli omosessuali. I favori ai grandi industriali, il clericalismo.
Non c’è antifascismo autentico senza lotta per la giustizia sociale, per la fine delle guerre e delle spese militari, per la difesa dei diritti dei lavoratori, delle donne dei migranti, per i diritti civili e la laicità dello Stato. Non c’è antifascismo senza opposizione ai provvedimenti che tolgono i diritti ai lavoratori: il diritto ad andare in pensione, in ferie, in malattia o quello a essere reintegrati in caso di licenziamento illegittimo. Non c’è antifascismo senza opposizione alle leggi che limitano la libertà di manifestare con il pretesto dell’ordine pubblico, che ostacolano i sindacati invisi alle aziende e che consentono alle imprese di liberarsi dei delegati sindacali licenziandoli, con il pretesto del venir meno del rapporto fiduciario (grazie alle legge Fornero votata da Berlusconi, Bersani, D’Alema, il datore di lavoro può decidere di tenersi solo i sindacalisti dei quali si fida e licenziare quegli altri: i sindacalisti che difendono i lavoratori non li scelgono più i lavoratori ma i loro datori di lavoro). Non c’è antifascismo senza opposizione alle leggi che limitano la libertà di associarsi in partiti, prevedendo l’obbligo per le nuove formazioni di raccogliere migliaia di firme per presentarsi alle elezioni e penalizzandole con leggi elettorali che ledono la rappresentanza. Non c’è antifascismo senza lotta per i diritti degli omosessuali, che una legge discriminatoria come quella sulle unioni civili ha deliberatamente escluso dall’istituto giuridico del matrimonio e dei diritti che ne conseguono e ha condannato ad accontentarsi di un matrimonio finto che nega il fondamentale diritto di una coppia che si ama: quello di mettere su famiglia. Non c’è antifascismo senza antirazzismo.
Quando proprio non è possibile evitare di citare la parol con la Effe, come nel caso di Macerata, si minimizza: “Uno squilibrato”, “Un pazzo isolato”, “Il gesto di un folle”, hanno dichiarato Berlusconi, Minniti, Renzi, Di Maio. Si invocano immediatamente gli opposti estremisti: da un lato i fascisti violenti e dall’altro gli antifascisti violenti che inneggiano alle Foibe (era il titolo del Corriere della Sera dopo la manifestazione di Macerata, alla quale con miglia di altri ho partecipato senza che alcuno udisse un inno alle foibe). Si enfatizza la violenza degli scontri e mai quella – costata morti e feriti – di chi ha varato, come durante il Fascismo, i provvedimenti che hanno rimandato la pensione dei lavoratori, reso il lavoro precario, compresso i salari e diritti, condotto 11 milioni di italiani a rinunciare alle cure mediche per mancanza di soldi o a morire mentre si calano in una cisterna a 63 anni o di freddo in macchina dopo aver perso il posto dopo vent’anni di lavoro precario o di fatica, a una fermata della metro, per il troppo lavoro. Questa violenza non si chiama mai per nome, come il fascismo.
Quando proprio non si può fare a meno di scrivere la parola con Effe lo si fa sottovoce, si invita al silenzio, ad abbassare i toni. Lo fanno quelli che hanno libertà di parola grazie agli antifascisti che invece di abbassare i toni contro i fascisti scelsero di combatterli e di lottare per la democrazia, che poi significa, letteralmente, Potere al popolo.