“Cosa pensa del caso De Luca?”. La domanda di Giovanni Floris a Matteo Renzi, ospite a di Martedì, si riferiva agli sviluppi dell’inchiesta di Fanpage sul traffico di rifiuti in Campania, nella quale è coinvolto il figlio del governatore e i massimi dirigenti della Sma, società regionale che si occupa del ciclo dell’immondizia. Il segretario del Pd risponde parlando di Roberto De Luca (non di Vincenzo), definito “coraggioso” perché “uno dei pochi a dimettersi per un avviso di garanzia”: “Credo che l’avviso di garanzia non debba portare alle dimissioni – dice – le sentenze possono portare a dimissioni. Mi ha colpito il tono della polemica, Di Maio a detto a De Luca ‘assassino’. Se qualcuno lo dice a me, io lo querelo. De Luca ha querelato Di Maio, e poiché Di Maio dice di essere un cittadino modello, gli chiedo: ‘Rinunci all’immunità parlamentare'”.
Renzi, quindi, precisa che sul piano giudiziario bisognerà aspettare il lavoro degli inquirenti, ma decide di non affrontare l’aspetto politico della questione, passando ad attaccare i toni utilizzati dagli avversari politici (Di Maio in primis). Floris, allora, gli pone la seconda fatidica domanda: quella sull’aspetto politico della vicenda, sul fatto che l’ex boss della camorra Nunzio Perrella e gli intermediari si siano recati da Roberto De Luca affinché girasse la proposta al padre, sintomo di un vecchio modo familistico di fare politica, lontano anni luce dai proclami di Renzi in versione Rottamatore. L’ex premier non risponde, parla di aspetti poco chiari, dei giornalisti “amici suoi” di Fanpage indagati. E cambia discorso, entrando nel merito della composizione delle liste. Il risultato finale è lapalissiano: in tutto il sottobosco emerso con l’inchiesta della testata giornalistica napoletana, l’unico “coraggioso” e meritevole di un commento è Roberto De Luca, figura di secondo piano all’interno di una vicenda che coinvolge l’intera gestione dei rifiuti in una regione a guida Pd, che guarda caso è anche un buon serbatoio di voti per il Partito democratico.