La lotta alla mafia rimossa dalla campagna elettorale per non disturbare le cosche. Il motivo? I voti di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra fanno comodo a tutti i partiti. È l’allarme lanciato da Rosy Bindi, a dieci giorni dalle elezioni politiche del prossimo 4 marzo. “Viene il dubbio che qualcuno pensi che disturbare la mafia in campagna elettorale possa avere delle conseguenze elettorali”, ha detto la presidente della commissione parlamentare Antimafia, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei. “La domanda è: si vuole il consenso vero del Paese o in qualche modo si è anche disposti, magari solo con il silenzio senza scendere a patti, a prendere anche i voti delle mafie ? È una domanda cruciale che non possiamo non farci”, ha continuato l’esponente del Pd, non ricandidata dal partito di Matteo Renzi.

Solo ieri Bindi aveva presentato alla stampa la relazione finale che riassumeva cinque anni di lavoro della commissione di Palazzo San Macuto. Un documento in gran parte dedicato ai rapporti tra le cosche e le istituzioni, che ha provocato un decadimento della classe politica. Il risultato Bindi sembra scorgerlo nella mancanza di un tema fondamentale dai programmi dei vari partiti: la lotta alle piovre. “Sembra che il tema della mafia – dice oggi la presidente dell’Antimafia – debba essere rimosso dalla campagna elettorale e dai progetti della politica. Sappiamo bene, invece, che il tema della mafia e della corruzione rappresenta il pericolo più grande. Sono le forze più pericolose che attentano la vita democratica del Paese”.

E invece il tema della guerra alle cosche sembra non interessare a nessun leader delle principali forze politiche. “Sorprende il silenzio in questa campagna elettorale – dice Bindi – Emerge anche la mancanza di un progetto in questo senso all’interno dei progetti dei partiti. Chi fa politica non può non fare i conti con questa realtà. Siamo un Paese in cui sono insediate da oltre 100 anni mafie molto forti che nel frattempo si sono radicate non solo al Sud ma anche al Centro e al Nord. Ignorare questo fatto significa sottovalutare. E questo è veramente grave”. 

Proprio alla classe politica si rivolge un capitolo fondamentale della relazione finale dell’Antimafia. quello dedicato allo scioglimento delle amministrazioni locali. “Il numero crescente di comuni sciolti per mafia e di procedimenti a carico di amministratori ed esponenti della politica locale, il trasformismo politico e il clientelismo su cui fa leva il voto di scambio, impongono una seria riflessione sulla moralità del sistema e sulla tenuta del principio di rappresentanza. Un decadimento allarmante che rende necessario integrare e correggere la legge Severino“, si legge nella relazione che avanza proposte ai futuri deputati eletti a San Macuto per rafforzare il sistema dei controlli e la trasparenza .

“Il mandato per la prossima commissione – continuava sempre il documento – non potrà trascurare il compito, su cui molto si è lavorato, del rapporto tra mafia e politica, soprattutto sul versante della trasparenza e della selezione delle candidature, in particolare a livello locale. Rientrano in quest’ambito, le proposte di modifica del Testo Unico degli enti locali, nella parte relativa allo scioglimento dei comuni per infiltrazione e condizionamento mafioso, alla gestione dell’ente da parte della commissione straordinaria e alle previsioni in tema di incandidabilità e ineleggibilità, ampiamente illustrate nella relazione. Tuttavia – sottolineava la commissione – il tema delle misure sulla presentazione e la qualità delle candidature, non si esaurisce certamente con l’esibizione di certificati penali privi di evidenze giudiziarie”. Resta da chiedersi come potrà inasprire la legislazione antimafia un Parlamento composto da eletti che ignorano completamente il problema in campagna elettorale.

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