Decine di condanne per un totale di 200 anni di carcere e una pena di 20 anni e 11 mesi per Biagio Crisafulli, lo storico boss del narcotraffico in Lombardia. Si è chiuso così l’ultimo grande maxi processo alla nuova mala milanese, scaturito da un’inchiesta del pm Marcello Musso (che in passato fece condannare anche Totò Riina) sul traffico di stupefacenti e le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel capoluogo lombardo. Biagio Crisafulli, detto Dentino, siciliano di nascita, re nero di Quarto Oggiaro, è detenuto da 20 anni dopo essere stato condannato più volte per associazione per delinquere ma anche per quattro omicidi. I giudici hanno considerato provata per lui l’accusa principale: anche dal carcere ha continuato a “comandare” e a gestire i traffici illeciti.
“Chi si è inventato questa storia dei pizzini ha visto troppe volte Il Padrino. Io sono un uomo buono, faccio del bene e quando uno fa beneficenza non fa i nomi delle persone che aiuta”, aveva detto in aula Crisafulli, interrogato nel processo Pavone 4 nel settembre 2016. E aveva raccontato di essere stato “arrestato a Parigi nel ’98 e da allora non sono più uscito”.
Sono stati condannati, tra gli altri, anche Antonino Paviglianiti a 8 anni e 3 mesi e Ruggero Dicuonzo a 16 anni e 10 mesi. Otto anni e 2 mesi per Domenico Brescia, detto il sarto della Pinetina (all’epoca, infatti, erano comparse intercettazioni, senza alcuna rilevanza penale, tra lo stesso Brescia e alcuni giocatori dell’Inter). È stato assolto, invece, Mario Tatone, fratello di Emanuele Tatone e Pasquale Tatone, uccisi in due diverse occasioni a Quarto Oggiaro, quartiere della periferia milanese, il 27 e il 30 ottobre del 2013.
I quaranta imputati (una decina le assoluzioni) erano stati coinvolti negli anni scorsi in varie tranche della maxi inchiesta sui clan Muscatello e Crisafulli. Nel giugno del 2015, con il rito abbreviato, erano già arrivate oltre 30 condanne a pene fino a 20 anni. Al centro delle indagini il traffico di cocaina e i legami con storiche famiglie di ‘ndrangheta. Il reato contestato era l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, anche con l’aggravante mafiosa. Il collegio della settima sezione penale, presieduto da Anna Calabi, per diverse posizioni ha fatto cadere l’accusa di associazione per delinquere con la formula del “non doversi procedere” perché gli imputati erano già stati “giudicati per gli stessi fatti”, mentre in alcuni casi, come allo stesso Crisafulli, sono state concesse le attenuanti generiche.