Un commando composto da fedelissimi di Matteo Renzi, capo supremo della resistenza alle orde populiste, si era impadronito di una “tempomobile” parcheggiata nella sede lumbard di via Bellerio: l’automezzo in grado di retrodatare la politica fino al tempo di Gengis Khan, che si era rivelato utilissimo alla Lega di Matteo Salvini per redigere il proprio programma elettorale, ispirato alle pulizie etniche dell’Orda mongola. Mentre l’alleato Silvio Berlusconi preferiva seguire l’esempio del suo coetaneo mago Houdini (1874-1926), illusionista impareggiabile nel far credere qualunque assurdità al proprio pubblico e formidabile “escapologo” (maestro nell’arte di evadere). Anche se l’incantatore americano d’origine ungherese sapeva essenzialmente divincolarsi da catene, corde e camice di forza, mentre il suo emulo meneghino è più portato a farlo con manette e tribunali. Tra l’altro, l’ex Cavaliere, redivivo ma ormai trasformato in Nosferatu, va inserendo nelle sue linee programmatiche anche la gag del prelievo mordace di sangue ai danni dei verginelli cinquestelle, tentando di vampireggiare i loro futuri parlamentari già in lista di espulsione per impresentabilità varie (un pregio decisivo agli occhi del Berlusca, avendone viste di tutti i colori).

Ma torniamo al commando renziano. In quel viaggio a ritroso nel tempo cui si accingevano, il loro compito era appurare la comparsa e la natura del virus che aveva contagiato il Pd, minandone irrimediabilmente la fibra. Insomma, la causa della malattia incurabile che ne stava riducendo la presa elettorale anno dopo anno.

La task force era composta da Matteo Orfini e Luca Lotti, puffi malignazzi capaci di intrufolarsi in tutti gli ambienti, e Dario Nardella, più torpido ma esperto in parcheggi e relativi pass, incaricato di custodire il mezzo meccanico del ritorno al passato il tempo necessario per scoprire l’arcano oggetto della missione. Avrebbe coperto loro le spalle un cyborg terminator con fattezze e parlantine terrorizzanti di Pina Picierno.

Intanto il “policantometro”, la bussola d’oro di orientamento nel viaggio a ritroso attraverso le stagioni politiche, aveva fissato il cursore temporale sulla data del 26 aprile 1999, a Washington. Il seminario della politica in carriera che dava seguito al precedente, tenutosi a New York il 21 settembre 1998, sempre sul tema della Terza Via mondiale; però sostituendo Romano Prodi con Massimo D’Alema. Cui facevano compagnia, oltre al padrone di casa, il presidente Usa Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schroeder: nasceva così l’internazionale dei carrieristi cinici.

Valter Veltroni provò a farsi notare buttandola sul nazional popolare e prospettando la nascita di un “Ulivo Mondial”, ma fu subito stoppato con l’abituale bonomia da Massimo D’Alema: un amichevole “roba da provinciali!”.

Mentre Nardella parcheggiava la tempomobile dietro la Casa Bianca, i due mini gurka si intrufolarono tra i convegnisti incominciando a raccogliere informazioni su quanto stavano escogitando i terzaviari. Fu così che si resero conto che la ricetta era identica a quanto trent’anni dopo avrebbe fatto finta di escogitare il loro boss: dare ai ricchi e taglieggiare i poveri, sbaraccare ogni controllo per far contenti gli speculatori, correre in soccorso di banche e finanzieri per ottenerne la benevolenza. Il problema era capire le conseguenze di allora: trionfi elettorali o flop?

Per questo decisero una rapida puntata nel decennio successivo e – solo allora – il quadro si fece chiaro: la Terza via standard partiva sempre come “sindrome da cicala” con un gran battage pubblicitario e pubblici apprezzamenti mediatici, ma presto metteva in luce li suo vero effetto: portare sfiga.

Astuzia virata a autogol: Clinton fu impiombato dallo scandalo sexgate già durante i lavori di Washington, D’Alema si giocò per sempre la reputazione a sinistra, prima con i giochetti collusivi in Bicamerale per poi impantanarsi in Kosovo e nei traffici con i presunti “padani coraggiosi”, saccheggiatori della Telecom privatizzata, Blair sprofondò nelle sabbie irachene e Schroeder finì come portaborse per gli oligarchi russi di Gazprom. Una serie di carriere stroncate dal momento che la dannata “Via” era stata imboccata. Ecco dunque la spiegazione dei capitomboli renziani: la maledizione della Terza Via aveva colpito ancora e non si poteva più rimediare. Semmai contare sulle robuste terga di fortunello Gentiloni, premier a propria insaputa.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Elezioni 2018, una guerra incivile tra leader di partito. In attesa della realtà

next
Articolo Successivo

Sicurezza, Minniti: “I populisti non vinceranno la sfida. Non sono adatti a risolvere il problema”

next