PHANTOM THREAD – IL FILO NASCOSTO di Paul Thomas Anderson. Con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Leslie Manville. USA 2017 Durata: 130’ Voto 5/5 (AMP)
Oltre se stesso. Anderson lavora sullo sconfinamento del proprio cinema e con questa sua nuova nonché ottava meraviglia, sembra riuscirci. Al suo fianco complici eccellenti: Daniel Day-Lewis ovvero il performer a breve più compianto di tutti; dall’altra il musicista poligrafo e insaziabile di sperimentazioni, Jonny Greenwood. Si sfiora la perfezione, per non dire si realizza, praticamente in gran parte dell’opera ambientata nella Londra post war ancora troppo grigia per godere della vita. A colorarla pensano i tessuti e le “cromazie” del designer Reynolds Woodcock: artista e artigiano di meticolosità scientifica ancorché di intuizioni profetiche sul senso dell’alta moda “coming to place” di quegli anni. Ma egli anche un uomo ossessivo, egoista ed egocentrico, capace di meschinità estrema quando qualcosa o qualcuno osa rompere gli schemi autoimposti. Abita una magione lussuosa con la sorella Cyril, dove è perennemente corteggiato da dame e modelle ognuna egualmente snobbata. L’elemento disturbatore si chiama Alma. Giovane straniera della classe operaia con cui nasce un legame misterioso, un idillio da sublimare con giochi di parte dove la vittoria si alterna. Il filo nascosto è la trama per comprendere il senso occultato di tutta l’opera, che PTA scrive e dirige come un sogno antico e da sempre tenuto vibrante nella memoria. Il geniale cineasta americano ce lo confida e consegna a patto di mantenervi una certa distanza, quella giusta per gustarlo anche nelle sue solventi provocazioni. La raffinatezza dell’abito di Phantom Thread – Il filo nascosto è post gotica, l’accompagnamento musicale scelto da Greenaway è di quel jazz inquietante e seducente che sussurra fra interni sontuosi e campagne solo apparentemente composte. E la notizia è che Anderson nel suo variare armonie e sfumature offre sempre la medesima melodia sull’esistenza umana, così estrema nel mostrare di essa le perversioni sottili, le relazioni malate, le assunzioni oblique del potere. Daniel Day-Lewis alla sua annunciata ultima e impeccabile performance ci lascia da perfetto romantico, risuonando come un verso di John Keats “Le melodie ascoltate sono dolci, ma quelle inascoltate sono le più dolci”.