Una fan della mia pagina Facebook tempo fa mi ha chiesto cosa intendo quando parlo di diventare diversamente normodotato: io le ho risposto che è un gioco di parole per sottolineare che troppo spesso l’esemplare di disabile – in particolare il francesino – si sente tale e vive psicologicamente imprigionato nella propria condizione, quando dovrebbe “liberarsene” e rimanere inabile solo esteriormente. Da qui diversamente normodotato: disabile fuori, normodotato dentro.
Scritto così sembra facile e alla portata di tutti, ma è tra le cose più complicate e difficili a cui un francesino possa aspirare: perché tra il dire fare c’è sempre di mezzo il mare, in questo caso l’oceano. È complicato poiché questo implica di vivere secondo le modalità dei normodotati, difficilmente conciliabili con quelli del francesino: tempi, ritmi, possibilità sono completamente differenti, ci si sente come l’Olanda dinnanzi agli Stati Uniti. Tuttavia come l’Olanda si può essere virtuosi.
Ma come? Innanzitutto diviene imprescindibile fare affidamento su se stessi, a conoscersi il più possibile e a conoscere/studiare il proprio handicap. E ad accettarlo, perché è l’unica cosa che possiamo fare: la mia disabilità c’è, esiste, mi limita, mi fa arrabbiare, ma da lei non posso certo liberarmi. Però la mia mente lo deve fare, deve andare oltre: questo richiede lo sfruttamento di tutte le risorse mentali disponibili, per modellare le proprie virtù in base alle proprie necessità. Perché per compensare le limitazioni fisiche e le conseguenti difficoltà, solo all’intelligenza si può fare appello…
Infine per puntare all’obiettivo diventano determinanti le esperienze di vita – che danno una spinta a quest’ultima – e l’integrazione – la sua linfa vitale. Per il resto si dice che la fortuna aiuta gli audaci, per cui cerco di essere… fortunato: audace no, troppa fatica… so’ disabile io! #ChiNonSaltaDisabileÈ