di Francesco Desogus
Mancava poco alle sette del mattino e il cellulare squillava con insistenza. Sul display: Prefettura. “Buongiorno dottore. La chiamiamo perché attiviate delle squadre di ricerca con le associazioni di volontariato, coordinate dal vostro servizio della Provincia. Circa un’ora fa è scomparso dai radar un aereo diretto all’aeroporto di Elmas (Cagliari)”. Intontito dal dormiveglia non quadravo ancora bene con la mente: “Ha detto un aereo? Dov’è sparito?”. Dall’altra parte: “Ecco le ultime probabili coordinate”.
Erano le 9,30 e da circa un’ora perlustravo con l’utilitaria dell’amministrazione, preoccupato per la coppa dell’olio tant’è era malmesso quel fondo sterrato sul Monte Cresia a circa 1000 metri di altezza. C’era un cielo così blu da sembrare già primavera per un padano. Nessuna foschia, come qualcuno poi azzardò. Di nuovo la Prefettura: “Il velivolo è stato rintracciato. Potete ricongiungervi tutti in località Baccu Malu per la ricerca dei dispersi”.
CIT124 il codice di volo assegnato al Cessna 500. Un piccolo bireattore, tanto che nella cabina in piedi non ci stai, appena un metro e mezzo di altezza. Apparteneva ad una società austriaca specializzata in voli charter. A bordo sei persone, di cui tre piloti, due ai comandi. Daniele Giacobbe, 35 anni, si era unito nella tratta di ritorno da Ciampino, perché quelle ore notturne ritornavano utili per avanzare nei brevetti di volo. Il suo corpo fu rinvenuto poco distante da Thomas Giacomuzzi, il secondo ufficiale. Il comandante Helmut Zullner, austriaco, facilitò l’individuazione del punto di impatto dell’aereo perché giaceva ben visibile sul bordo di una strada. Tutto attorno lecci, sughere, lentisco: la macchia mediterranea, quasi impenetrabile, che aveva inghiottito tutto.
Quel volo era stato un fatica di routine per Alessandro Ricchi, modenese di 52 anni e lo sguardo sempre rassicurante, tra i migliori chirurghi italiani nei trapianti di cuore. Con lui viaggiava l’aiuto Antonio Carta, 38 anni, ed il perfusionista Gian Marco Pinna di 48. Dentro un contenitore frigo speciale custodivano un cuore appena espiantato all’ospedale San Camillo di Roma. Armando, 52 anni, attendeva sul tavolo operatorio dell’Ospedale Brotzu i tre angeli verdi, il colore del camice. Solo tre ore dal momento dell’espianto del cuore per il successo del trapianto.
Forse per questo i piloti chiesero alla torre di controllo l’autorizzazione per un “visual approach”, l’atterraggio a vista. Evidentemente già si intravedevano in lontananza le luci giuste, risparmiando anche 15 minuti preziosi rispetto all’avvicinamento strumentale. Se avessero ritardato la discesa di pochi secondi o qualche metro più a lato non avrebbero impattato ad oltre 400 Km orari quella guglia tozza di granito, una de Is Setti Fradis. I “sette fratelli” svettano sulla cresta delle montagne come il dorso di uno stegosauro.
Erano sette anche i cuori verso il cielo di quel tiepido e limpido mattino del 24 febbraio 2004. Oppure in tutto nove, perché il paziente ricevente, che attendeva inutilmente a Cagliari, dopo poche settimane fu trapiantato del cuore di un nuovo donatore ma, purtroppo, perì poco dopo. Al tramonto avevamo tutto concluso, nessun codice almeno rosso. Solo sei codici blu, nessun nero, così voleva il personale del 118 presente.
Con sentenza definitiva sono stati condannati i due controllori di volo di turno quel mattino, in sostanza per non aver informato sul pericolo sottostante l’equipaggio che aveva richiesto l’avvicinamento a vista, suscitando non poche polemiche nella categoria sulle specifiche funzioni ed i protocolli di sicurezza in uso in Italia.
A me rimane il ricordo di una giornata solare, una giornata fatta di tanti sguardi tristi, però mai stanchi. Resta pure il profumo del bosco, il silenzio surreale rotto solo dal gracchiare delle radio. Fondamentalmente, la consapevolezza che è tutto relativo.
Perché questa è la vita.
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