L'ex premier attacca questo giornale - citando l'offesa coniata da Matteo Renzi - nei giorni in cui esce in libreria B come Basta, il saggio di Marco Travaglio che ripercorre la storia del fondatore di Forza Italia: "Mi fa star male. Mai dati soldi ai boss. Anzi sono stato loro vittima". La motivazioni della decisione con cui la Cassazione ha condannato in via definitiva il suo storico braccio destro, però, dicono altro
Smentisce di aver mai pagato Cosa nostra, anzi rivendica di essere stato addirittura una vittima dei boss mafiosi. La corte di Cassazione, però, dice il contrario. Sarà per questo motivo che Silvio Berlusconi attacca il Fatto Quotidiano colpevole di ricordare cosa scrissero gli ermellini sul suo rapporto con le cosche siciliane. “Il Falso quotidiano, o il Fatto, come si chiama, mi accusa in questi giorni di aver pagato per tanti anni la mafia. Vi rendete conto che infamia buttarmi addosso un’accusa di questo genere? Io sono stato al contrario una vittima della mafia”, dice l’ex premier alla manifestazione di Forza Italia a Milano. Un’offesa, quella rivolta a questo giornale – definito il Falso quotidiano, epiteto coniato da Matteo Renzi ai tempi dell’inchiesta sulla Consip – legata all’uscita di B come Basta, il libro edito da Paper First in cui Marco Travaglio ripercorre la storia dell’ex cavaliere. “Mi fa star male il Falso quotidiano. Adesso che ci sono le elezioni tira fuori questa storia e Travaglio ci fa anche un libro”, ha continuato Berlusconi, sostenendo che tutte le accuse nei suoi confronti sono finite archiviate dalla magistratura e che in passato dovette “assumere una polizia privata” a sua tutela e dei figli.
“Dell’Utri e l’accordo con la mafia” – Per la verità, però, Berlusconi è ancora indagato dalla procura di Firenze con un’accusa pesantissima: è sospettato di essere tra i possibili mandanti occulti delle stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano. Un addebito che gli è già stato rivolto due volte sia dai giudici toscani che da quelli della procura di Caltanissetta. A smentire l’ex cavaliere sui suoi rapporti con la mafia non è però un’indagine in corso ma una sentenza definitiva. Quella con cui nel maggio del 2014 Marcello Dell’Utri è stato condannato in via definitiva a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra. Gli ermellini definiscono l’ex senatore come il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra e “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
“20 miliardi per comprare film” – E ancora, la Suprema corte – nelle stesse motivazioni depositate nel luglio del 2014 – ricorda che il “perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“.
Riina: “Ci fava 250 milioni” – E più che di una polizia privata assunta per proteggere sé e la sua famiglia, la Suprema corte parla di un “patto di protezioneandato avanti senza interruzioni”. Dell’Utri garantì “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”. Insomma lo storico braccio destro di Berlusconi si ritrovò a svolgere un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”, diceva Totò Riina intercettato in carcere con il codetenuto Alberto Lorusso.
L’eroe Mangano – “La Cassazione ci dice che tra Cosa nostra e Berlusconi e Dell’Utri il rapporto era paritario. Dell’Utri era un nuovo autorevole interlocutore del dialogo con Cosa nostra”, hanno detto invece – solo poche settimane fa – i pm del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia chiedendo 12 anni di carcere per l’ex senatore. Una requisitoria in cui l’accusa ha ricordato anche il ruolo di Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova assunto da Berlusconi e Dell’Utri nel 1974:“La presenza di Vittorio Mangano ad Arcore mafioso del mandamento di Porta Nuova, per il tramite di Dell’Utri, rappresenta la convergenza di interessi tra Berlusconi e Cosa nostra”. “Una volta Manganò chiamò Berlusconi chiama al telefono e gli disse: se non mi dai tre miliardi ti rapisco tuo figlio Dudi“, ha svelato su Fq Millennium Alberto Bianchi, amico d’infanzia dell’ex premier. Eppure nonostante le minacce e le parole scritte dalla Cassazione, sia Berlusconi che Dell’Utri hanno un’altra idea di Mangano: per loro, e lo hanno ripetuto più volte, è un “eroe“.