In questi giorni mi assilla un tema, che sembra scomparso perché macinato dai rumori della campagna elettorale lampo: tutti negano l’esistenza della sinistra e della destra, la fine delle parti e affermano così l’inizio di un “brodo primordiale” che dicono alcuni, porterà al fascismo o a detta di altri al trionfo dei populismi. Slogan incomprensibili e fondati sull’effetto dell’attimo, sulla frase di giornata, sulla promessa più seducente. Eppure qualcosa di ben definito e netto si può percepire all’orizzonte, se si usano contemporaneamente testa, pancia e cuore per capire. Si potrebbe giocare alla Celentano o alla Gaber per comprendere cosa è rock e cosa è pop, o cosa è di destra o di sinistra. Ma così facendo lasceremmo fuori la testa.
Allora un vademecum, potrebbe orientarci per spiegare ai nostri figli, se esistono e dove sono i fatti che definiscono le categorie di sinistra e destra che ci hanno
accompagnato fino a oggi. E allora, se ci si commuove di fronte alla visione del film The Post, vuol dire che una speranza all’orizzonte si può scorgere. Se ci si indigna quando si è immersi nel “labirinto del silenzio” cui viene confinata la vicenda del processo sulla trattativa Stato-Mafia, che con le sole richieste di condanna e le secche dichiarazioni della parte civile dello Stato (“ci associamo alle richieste di condanna dei P.M.”), avrebbero fatto tremare qualunque democrazia nel mondo. E quando arrivano in tv, in prima serata (pronunciate da Di Battista) il conduttore impallidendo chiama la pubblicità.
Se ci si spiega perché un tubo nel mare chiamato Tap, può essere devastante per un intero territorio e la sua economia o un tunnel chiamato Tav, che buca una montagna è una violenza contro il popolo che la abita, i contorni di qualcosa che esiste cominciano a disegnarsi. Se piangiamo quando ascoltiamo l’ennesima notizia di decine di dispersi nel mare dei gommoni e ci fermiamo a guardare negli occhi colui che ci viene incontro chiamandoci “papà” con un cappello o con un bicchiere di plastica per chiedere una monetina, immaginando che evitando il contatto fisico della mano si elimina una barriera e forse avrà quella monetina. Se riusciamo a scoprire il nome di coloro che affollano la nostra pingue quotidianità di consumatori feroci di superfluo. Se ci infiliamo nelle storie di disperazione di uomini che salgono sui tetti per protestare sul lavoro perso, o invadono le piazze alla ricerca di un accordo/speranza. Se ci siamo fatti almeno una volta nella vita un giro nel quartiere Tamburi a Taranto in una giornata di sole e vento, per capire dove poi l’umanità è destinata ad arenarsi.
Se abbiamo ancora la voglia di ascoltare le parole di buon senso che viaggiano su treni stracolmi la mattina all’alba quando l’andare avanti si lascia indietro i pensieri delle notti insonni o i rischi che si corrono per il solo esserci. Se sorridiamo all’uomo sull’albero che pota con sapienza il suo albero sapendo che è solo a perdere, ma bisogna farlo comunque, e innaffia con le lacrime l’ulivo secolare ormai spoglio e infruttuoso perché devastato dalla xylella. Se offriamo un caffè al ragazzo che in bici porta le merci per pochi euro all’ora nel traffico di città dall’aria velenosa. Se ci fermiamo sulla panchina di fronte al mare sulla quale campeggiano scritte razziste e guardando il mare ascoltiamo le sue urla traportate dalle onde. Se abbiamo ancora la voglia di dire che mai un servitore dello Stato deve lasciare una bandiera tricolore sulle spalle di un uomo che ha sulla testa tatuato il simbolo delle divisioni più crudeli delle SS naziste.
Se abbiamo la capacità di connettere le nostre dotazioni essenziali e disconnettere quelle superflue delle applicazioni che ci dominano. Se mettiamo in funzione, anche solo per un giorno, testa, cuore e pancia, ci si apriranno anche gli occhi e vedremo in modo nitido come sinistra e destra ci sono ancora… eccome! E anche che bisogna decidere, nella vita cosa si è, come lo fecero i partigiani che ruppero il labirinto del silenzio nel quale sono racchiuse tutte le peggiori tragedie della nostra umanità.