Flaminio de Castelmur per @SpazioEconomia
Se intendiamo l’economia mondiale e internet come il centro del mondo, 5 società ne sono diventate in breve tempo le imperatrici. Parliamo di Amazon, Google, Facebook, Microsoft e Apple, in vario modo connesse con la rete e regine del business mondiale in senso stretto. Questa loro posizione deriva innanzitutto dai grandissimi numeri che ne compongono i bilanci, nei quali, per esempio, Apple espone 1.445$ al secondo di fatturato, Google ne guadagna 616 nello stesso tempo, così come Microsoft, il cui utile al secondo è pari a 531 $. I loro numeri in un minuto.
Ognuna di questi agglomerati di Aziende deriva la sua fortuna dalla rete, per poi progressivamente essere passati a investire anche in strutture “fisiche” o con attività solo collegate a essa. Questo sviluppo vorticoso, che le ha portate a gestire decine di società (la sola Amazon dispone di 20 società controllate derivanti da 78 acquisizioni in 10 comparti diversi) viene definito da taluni economisti network effect.
Questo è un fenomeno innescato da una iniziativa imprenditoriale che riesce rapidamente a consolidarsi e raggiungere numeri notevoli, che si moltiplicano grazie al meccanismo a valanga per cui il vantaggio che un utente o consumatore trae dall’utilizzo di quel prodotto aumenta con l’aumentare delle persone che lo utilizzano. Esempio classico è il sistema operativo Windows cresciuto inizialmente perché se all’inizio avevi dei dubbi, potevi chiedere all’amico che usava Windows cosicché “tutti usavano Windows perché tutti usavano Windows”. Si creò così un monopolio per Microsoft.
Il gradimento degli investitori per i titoli di queste aziende, che in quanto conglomerati avrebbero dovuto essere considerate inefficienti come quelle che le avevano precedute (per esempio Nabisco o i marchi del Tabacco di RJR, giudicate esempio di sprechi e cattiva organizzazione) deriva probabilmente dalla massa di utili che riescono a produrre e dall’idea che tutto questo non possa che derivare da una organizzazione efficiente.
L’analisi dei risultati delle acquisizioni dimostra invece come potrebbe anche essere vera la valutazione del passato dei conglomerati. Per esempio Google può vantare esborsi importanti per aziende dimostratesi valide (Youtube è costata 1,65 miliardi ma ora è il secondo sito più visitato al mondo) e altri enormi per aziende rivelatesi un flop (12,5 miliardi per Motorola poi ceduta a Lenovo per un quarto del prezzo). Ma questi dati generano altresì l’idea che l’ammontare stratosferico degli utili generati dal business core sia da solo in grado di minimizzare i rischi di cattive acquisizioni, meglio delle vecchie conglomerate. Tutto questo può essere considerata la parte “buona” del fenomeno. Quella “cattiva” invece, comincia a manifestarsi e ad essere valutata in questi ultimi anni.
Per prima cosa, vi sono le pratiche elusive di queste corporation che, gestendo business spesso “immateriali” perché costituiti da servizi disponibili in rete in tutto il mondo, possono localizzare i loro utili dove è più conveniente per vari motivi. In soli 5 anni (tra il 2012 e il 2016) i giganti del software hanno eluso una cifra pari a 46 miliardi di euro di imposte, ai quali si aggiungono altri 23 di Apple, che non rientra strettamente nella categoria. Per fare degli esempi (dati dell’indagine Software e Web Companies di Mediobanca sui bilanci 2016) Microsoft ha risparmiato 3,6 miliardi di tasse, Alphabet (Google) 2,5 miliardi e Facebook almeno 1,5 miliardi (sempre di $).
Parliamo di un’aliquota fiscale media dell’1% per quest’ultima o del 4% per Google. Tax rate molto inferiori a quanto pagato da Aziende dedicate ad altri tipi di business, magari più “fisico” e localizzato. Un’altra ombra evidente nelle attività delle web companies è la raccolta e l’utilizzo dei nostri dati personali, da noi volontariamente ceduti o rilevati dalle attività quotidiane che svolgiamo in internet. Dati che permettono a chi li gestisce di orientare i nostri gusti, preferenze e comportamenti tramite attività che, a volte, potrebbero essere definite “illecite”. Le innovazioni portate da queste aziende, però, hanno migliorato talmente tanto la nostra vita da farci accettare comportamenti discutibili, come la già citata elusione fiscale, il trattamento dei lavoratori poco “umano” (nelle unità produttive di Amazon, Apple e compagnia non vi è l’ombra di un sindacato) o la possibilità per chi lo volesse, di bombardarci con offerte e promozioni a tutte le ore del giorno senza suscitare grande sdegno.
Possiamo infine arrivare a ipotizzare la possibilità per queste aziende di sostituirsi agli Stati o a parti di loro. E’ di questi giorni infatti l’iniziativa di Amazon, JP Morgan e Berkshire Hathaway di costituire una società destinata a raccogliere i contributi destinati all’healthcare dei dipendenti dei tre (solo in Usa equivalgono a 1,2 milioni di persone), svincolandole dal Sistema Nazionale Americano. Iniziativa per ora limitata, ma che potrebbe in futuro arrivare a soppiantare una parte del Sistema Nazionale. E se questi giganti decidessero di sostituirsi alle Nazioni?