Dopo l’arresto di quattro poliziotti dall’inchiesta sulla sparizione di tre cittadini italiani in Messico emerge un particolare importante. Raffaele Russo, suo figlio Antonio e il nipote Vincenzo Cimmino sarebbero stati venduti, secondo la famiglia, a una banda di criminali per pochi soldi: 1000 pesos pari a 43 euro. Potrebbe essere arrivato a un punto di svolta il caso a quasi un mese fa dalla sparizione dei tre in Tecalitlan, la località dello stato di Jalisco.
Gli agenti arrestati, che hanno confessato e sono stati già rinviati a giudizio non hanno rivelato il nome della banda alla quale gli italiani, tutti originatri di Napoli, sono stati dati. La zona di Jalisco è nota per i rapimenti lampo, specie di stranieri, ad opera di bande vicine ai narcotrafficanti in cambio di denaro. Secondo la famiglia dei tre napoletani, i loro cari sarebbero stati venduti dai poliziotti che li avevano bloccati per “43 euro”. “14 euro a persona”, denunciano i parenti, che da giorni vivono nell’angoscia e oggi hanno rivolto un appello al governo italiano a “muoversi”. La Farnesina ha confermato l’arresto dei quattro poliziotti – tre uomini e una donna – e ribadito di seguire il caso “con la massima attenzione” attraverso l’ambasciata d’Italia in Messico, che lavora in stretto raccordo con le autorità locali.
Il punto essenziale da capire ora è a chi siano stati venduti i tre italiani e dove si trovino in questo momento. A Jalisco, ma anche negli stati di Michoacan e Colima, proseguono le ricerche con l’uso di unità cinofile. La procura locale, che cinque giorni fa ha ricevuto il responsabile italiano dell’Interpol, punta sulla Jalisco Nueva Generacion, una banda che controlla alcune aree della zona e con cui i tre italiani potrebbero essere entrati in contatto. Secondo le autorità messicane, Russo (60 anni) avrebbe utilizzato una falsa identità e si sarebbe registrato in alcuni hotel sotto il nome di Carlos Lopez. Fonti locali vicine alle indagini – citate dai media – riferiscono inoltre che aveva precedenti per frode in Italia e si dedicava alla vendita di generatori elettrici fabbricati in Cina ma spacciati per tedeschi. Nel 2015 era stato arrestato per frode e corruzione nello stato di Campeche e alla fine del 2017 era impegnato in ‘affarì nello stato di Michoacan. Tutte notizie smentite seccamente dai familiari dei tre napoletani che le bollano come “dicerie” e difendono i lori cari ribadendone l’assoluta estraneità a organizzazioni di narcotrafficanti. Sono “brave persone”, “semplici venditori ambulanti” che si trovavano in Messico per lavorare. Cinque giorni prima della sua scomparsa Raffaele si era riunito con il figlio, 25 anni, e il nipote, 29, in un hotel di Ciudad Guzman. Questi ultimi due sarebbero arrivati in Messico insieme ad altri sei italiani, tra i quali altri due figli di Russo, Francesco e Daniele. Èlui che, rientrato in Italia, ha riferito delle ultime ore dei tre scomparsi.