L''Osservatorio siriano per i diritti umani' avanza il sospetto che le forze di Assad abbiano lanciato un attacco chimico su Al-Shifuniyah. "Diversi civili hanno avuto sintomi di soffocamento, un bimbo è morto", afferma l’ong, precisando di non avere ancora informazioni dettagliate sulla natura delle armi usate
La tregua è formalmente in vigore ma nella Ghouta orientale, teatro dal 18 febbraio di un’escalation di violenza costata la vita a oltre 500 persone, si continua a morire. Almeno 10 civili sono rimasti uccisi nei nuovi raid e bombardamenti eseguiti dal regime di Bashar Al Assad, malgrado la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu sulla tregua umanitaria di 30 giorni in Siria. Lo hanno riferito gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, un gruppo vicino all’opposizione con sede in Gran Bretagna, precisando che tra le vittime si contano a Douma, una delle località del sobborgo a est di Damasco in mano ai ribelli e sotto assedio dal 2012, nove membri della stessa famiglia, tra cui tre bambini.
Lo stesso Osservatorio avanza il sospetto che i governativi siriani abbiano lanciato un attacco chimico con cloro su Al-Shifuniyah, nella Ghouta orientale. “Diversi civili hanno avuto sintomi di soffocamento, un bimbo è morto”, afferma l’Ong, precisando di non avere ancora informazioni dettagliate sull’episodio e sulla natura delle armi usate nel raid. Secondo alcune testimonianze, dopo un’”enorme esplosione” è stato avvertito un forte odore di cloro. Almeno 18 persone sono state curate a causa dei sintomi di esposizione al gas a seguito dell’attacco. Accuse che riportano alla mente i fatti del 21 agosto 2013: quella notte un attacco con armi chimiche al gas Sarin che causò la morte di circa 1.400 persone.
L’esercito siriano non ha reagito a quest’informazione. Il regime di Damasco, dal canto suo, ha sempre negato l’uso di armi chimiche nella guerra con i ribelli. A pronunciarsi sulle accuse è stato invece il Cremlino: le notizie sull’uso di armi chimiche da parte delle truppe di Assad sono “una provocazione” mirata a sabotare la tregua, ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov.
Sul fronte di Afrin, intanto, media locali riferiscono che le forze speciali turche sono entrate stamani nell’enclave curda nel nord-ovest del Paese, sotto attacco di Ankara da oltre un mese. Il loro compito principale, secondo i media locali, sarà quello di contrastare possibili infiltrazioni di miliziani curdi dell’Ypg nei villaggi già passati sotto il controllo turco e di partecipare all’assedio del centro urbano di Afrin. Con le forze speciali di polizia e gendarmeria, saranno schierati da oggi nell’area anche circa 600 membri curdi e arabi della Brigata dei falchi curdi dell’Esercito siriano libero.
Le unità della Brigata sono note anche come “berretti rossi”: il dispiegamento è stato annunciato dal suo comandante Hassan Abdullah Kulli, citato da Anadolu. Intanto, le forze armate turche hanno fornito stamani un nuovo bilancio dell’operazione “Ramoscello d’ulivo”, indicando in 2.059 i “terroristi” curdi dell’Ypg e dell’Isis “neutralizzati” (cioè uccisi, feriti o fatti prigionieri) dall’inizio dell’offensiva, il 20 gennaio. Le cifre non sono verificabili in modo indipendente sul terreno.