Alcune sere fa ho assistito allo spettacolo “Brunori a teatro. Canzoni e monologhi sull’incertezza”. Ero molto curioso, perché volevo vedere in che modo si sarebbe sviluppata quella che mi piace chiamare la poetica della medietà in forma umana di uno dei nostri migliori cantautori. Ecco a voi dunque alcune considerazioni.
Anzitutto ciò che mi è piaciuto di meno: il titolo. Dal titolo sembra che il contenuto generale non sia perfettamente centrato. Siccome il bellissimo e fortunato album “A casa tutto bene” è quello su cui poggia completamente lo spettacolo, non convince il fatto di dedicare quest’ultimo all’incertezza, quando il disco parla invece di paura, che dell’incertezza è una causa. Ne risente anche la coerenza del percorso di scrittura. D’accordo, l’incertezza è il tema portante di tutta la poetica del cantautore calabrese, in bilico tra leggerezza e pesantezza, tra superficie e profondità, tra salsicce e il sushi brasiliano, Lamezia e Milano per un uomo d’altri tempi di fronte al futuro. Ma allora lo spettacolo dovrebbe fermarsi lì. Poi però per fortuna scende nella profondità del disco – dunque della causa da cui scaturisce –, non rimane in superficie.
È perciò verosimile che questi monologhi e canzoni dovessero avere per titolo proprio la paura, non l’incertezza. Forse l’autore le ha preferito quest’ultima per non appesantire e incupire l’intera immagine del tour. Questo mancato passo in più rappresenterebbe allora una scelta di equilibrio precario, che descriverebbe per l’ennesima volta nei fatti quanto sia potente l’impostazione d’autore di Dario Brunori: mai risolutivo, mai decadente e compiaciuto, mai consolatorio.
Brunori ha una capacità su tutte: quella di farti entrare immediatamente nel suo mondo – nel suo modo di vedere le cose – attraverso il suo punto di vista, la sua cifra d’autore. Questo spettacolo non fa eccezione. I monologhi vengono fuori da un’ottima capacità di gestire i tempi teatrali; si sente che dietro c’è una persona molto intelligente.
Poi, ovviamente, ci sono le canzoni. La verità, La vita pensata, Secondo me, Don Abbondio, L’uomo nero e altre ancora, semplicemente molto belle. Quando ti imbatti in un cantautore così poderoso, così centrato nella lettura della realtà e nella sua trasformazione in forma-canzone, aspetti con ansia il prossimo disco, come si faceva con Guccini, con De André, con De Gregori. Canzone d’autore, della migliore specie.
Ma Brunori non scrive solo belle canzoni, fa molto di più. Per un paradosso che si nutre dell’esatto contrario di ciò che lui vorrebbe dare a vedere, egli non è solo un cantautore: è un intellettuale. L’intellettuale è colui che riesce a descrivere la realtà, facendone metafora tramite il proprio lavoro: lo schermirsi dall’intellettualismo – forse per paura di non essere in grado di reggere il confronto col passato – descrive un’intera generazione di quarantenni e fa del cantautore calabrese un intellettuale di fatto della vita liquida.