La legge c’è e i partiti sanno già come aggirarla. Le quote rosa introdotte dal Rosatellum volevano garantire equilibrio nei due rami del Parlamento, attraverso alcune regole: soglia massima del 60% di candidature per entrambi i generi all’uninominale e alternanza uomo/donna al plurinominale, dove anche in questo caso nessuno dei due generi può essere capolista oltre il 60%. Regole che per la Camera valgono su base nazionale e per il Senato su base regionale. Ma siccome i principi previsti dalla normativa valgono sugli aspiranti parlamentari e non sugli eletti, le due aule che usciranno dalla prossima tornata elettorale saranno potrebbero essere ancora più al maschile. L’introduzione delle quote rosa, quindi, risulta essere una truffa o, come lo chiama oggi Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, un “omaggio insincero alle donne”. A pesare, al di là delle regole sulle carta, ci sono il posizionamento degli uomini nei collegi a vittoria sicura e le pluricandidature delle donne al proporzionale. Perché se vincono in più collegi devono sceglierne uno e rinunciare agli altri, col risultato che il secondo nome in lista – visto il principio dell’alternanza di genere e la mancanza delle preferenze – è un uomo. A scovare la trappola messa a punto dalle segreterie dei partiti è lo studio (pubblicato su LaVoce.info qualche giorno fa) “Truffe rosa in Parlamento” di Paolo Balduzzi, docente di Scienza delle Finanze alla Cattolica, ed Eleonora Voltolina, direttrice de La Repubblica degli Stagisti. “Il parlamento uscente è stato quello con più donne in assoluto – si legge nell’articolo -. Ora, l’equilibrio di genere è addirittura obbligatorio: la nuova legge elettorale nazionale lo prevede esplicitamente. Ma fatta la legge, trovato l’inganno, come dice il proverbio”.
Dall’uninominale al proporzionale: la truffa nei collegi – Lo studio prende in considerazione il concetto di “collegi sicuri”, ritenuti tali sulla base dei sondaggi, e limita l’analisi alla Camera, visto che in questo caso la regola del 60% vale su base nazionale. Per quanto riguarda i collegi uninominali, scrivono i due autori, “lo spirito della legge è rispettato quando, per un partito, la quota supera il 40 per cento nei collegi di vittoria sicura; altrimenti il sospetto è che il partito stia utilizzando la candidatura femminile solo per coprire collegi dove la sconfitta appare probabile”. Allo stesso modo, proseguono, “lo spirito della legge è rispettato qualora la quota di candidature femminili nei collegi dove la sconfitta è sicura sia inferiore al 60 per cento”. Il risultato? Che “il Pd non rispetta mai lo spirito della legge quando i collegi sono di vittoria, con una situazione più equilibrata nei collegi a sconfitta sicura”. E vale un “rispetto formale” anche “per Forza Italia (con Lega e Fratelli d’Italia): solo in Veneto e Lazio si raggiunge quota 40 per cento, mentre negli altri casi sono favorite le candidature maschili (meno squilibrata la situazione nei collegi di sconfitta sicura)”. Per quanto riguarda invece il Movimento 5 Stelle “non ha collegi storicamente sicuri, visto che si presenta a elezioni con questa formula per la prima volta: proprio per questo, e forse solo per questo, la situazione alla Camera è fortemente equilibrata, tranne, nemmeno a farlo apposta, in Sardegna, dove i sondaggi sono favorevoli al Movimento e le candidature femminili sono solo 1 su 6″. Guardando invece alle candidature al plurinominale, lo studio considera soltanto quelle uguali o superiori a due ed esclude chi ha una candidatura al maggioritario e una al proporzionale. In questo modo si esclude il M5s. Con questo meccanismo “un partito potrebbe usare la candidatura di donne come specchietto per le allodole (quando la pluricandidata è anche capolista) o come mero meccanismo per aggirare la regola dell’alternanza di genere (quando la candidata non è capolista) – si legge su LaVoce.info -, garantendo invece l’elezione a un numero ben più elevato di candidati uomini. Pd e Forza Italia escono male da questo confronto; si salva invece Liberi e Uguali“.
Voltolina: “Spiragli della legge utilizzati in chiave maschilista” – “Una parte della norma è irrisolvibile dal punto di vista normativo – spiega a ilfattoquotidiano.it Eleonora Voltolina – perché la legge stabilisce che l’importante è la soglia del 60% da non superare. Dice, in pratica, che non si possono candidare troppi maschi o troppe femmine. Ma nella realtà dei fatti è una percentuale inserita per riequilibrare le liste, dove storicamente la maggioranza è fatta di uomini. Poi è stato introdotto il correttivo delle liste alternate. Altrimenti, pur rispettando la soglia del 60%, le candidate finivano tutte in coda senza possibilità di essere elette”. Ma una volta fatte le liste, sono state le donne del Pd dell’Emilia Romagna, prosegue Voltolina, a denunciare la stortura del sistema perché “si sono accorte di essere state penalizzate”. Rilievi che sono usciti dal recinto dem e sono stati studiati da LaVoce.info. “Abbiamo constatato che era tutto vero. Ci sono due modi per penalizzare le candidate femminili pur rispettando la legge e allo stesso tempo disinnescandola, visto che agisce sui candidati e non sugli eletti”. Cioè? “Se il partito assegna i collegi sicuri ai maschi ha già agito sul risultato, consegnando a loro la maggior parte dei seggi. Ma la legge non può imporre il paletto dei collegi sicuri, visto che sono definiti in maniera aleatoria, in base a sondaggi e proiezioni. In più abbiamo visto che all’uninominale nei collegi perdenti c’è più spesso una donna. Eppure – precisa – a livello formale la legge è stata rispettata”. Sull’aspetto delle pluricandidature, però, si poteva incidere. “Sembra un vantaggio, perché dà più probabilità di vittoria. Se mi candidano in 5 collegi ho il quintuplo di possibilità di finire in Parlamento. Ma una volta che una pluricandidata che vince in più collegi ne opziona uno rinunciando agli altri, in tutti questi chi vince è un uomo, perché l’alternanza di genere prevede che un rappresentante maschile sia dopo di lei in lista. Le pluricandidature quindi sono un’arma a doppio taglio, magari anche usando donne di peso e con molta visibilità personale”. La realtà è che le quote rosa del 4 marzo sono un maquillage dietro al quale, ancora una volta, si delinea una politica conservatrice e maschiocentrica. “Si è agito in modo da blindare i maggiorenti dei partiti e quelli che al loro interno pesano di più. Che sono storicamente uomini. Molti degli spiragli che la legge lascia aperti vengono utilizzati in chiave maschilista. E la nostra previsione è che il prossimo parlamento sarà molto meno al femminile di quello attuale”.