Era un comizio o in un talk show? Provare a ricordare chi ha detto queste parole.
«L’Italia è un paese di bassi salari, dove le tasse sono più alte che in qualsiasi altra parte del mondo. Le imposte, nel complesso, hanno raggiunto un livello insostenibile, e colpiscono più gravemente i poveri dei ricchi. Siamo il paese che ha il debito pubblico più alto in proporzione alle sue ricchezze. La giustizia è lenta, costosissima e senza sufficienti garanzie. L’istruzione elementare è insufficiente, quella superiore crea fabbriche di spostati. Abbiamo un primato vergognoso nella delinquenza comune. Il prestigio nazionale all’estero è in declino intollerabile».
Invero, sono le parole di Giovanni Giolitti pronunciate nell’ottobre del 1899. Una disamina spietata di quasi 120 anni fa, che potreste leggere tal quale sul giornale di domani. Basta fare due taglia & incolla: sostituire “universitaria” a “superiore”; poi “superiore” a “elementare”. E magari omettere la frase sulla delinquenza, giacché in Italia vengono ammazzate circa 400 persone all’anno, quando negli Usa gli omicidi volontari sono, ogni anno, quasi 16mila. Più che in Europa, Canada, Australia e Giappone messi assieme.
Giolitti parlava con franchezza, poco influenzato da vincoli ideologici. Se nel 1899 le ideologie non avevano ancora conquistato il mondo, oggi la fine di quelle ideologie ha rivoluzionato da tempo l’offerta politica rispetto al Novecento. Tutti noi salutammo con sollievo quel crollo, poiché le ideologie in lotta tra loro avevano generato lutti e distruzione. E, tuttora, quasi nessuno le rimpiange.
Cessata ogni coerenza legata all’adesione ideologica, la politica ha però abbracciato l’unica certezza disponibile, la religione del mercato. L’offerta politica si è perciò trasformata in una offerta di mercato da parte di “cartelli” in concorrenza solo teorica tra loro. Essi promuovono prodotti molto simili, attraverso una propaganda ispirata all’advertising, pura pubblicità in perenne oscillazione tra due poli: la grancassa spettacolare e la persuasione occulta. E, poiché sono scomparsi i famigerati valori fondanti dell’era ideologica, non ci sono più barriere ideali, mentre ogni proposta politica si riduce a proposta economica da tradurre in legge finanziaria, una norma attorno alla quale ruota la vita pubblica.
Ciò favorisce collegamenti tra forze apparentemente incompatibili, senza remore al salto della quaglia tra schieramenti. Anche perché all’etica malsana delle ideologie, si è sostituita l’etica dell’utilitarismo, che giustifica qualunque voltagabbana in rapido movimento per ragioni di sopravvivenza o di portafoglio. Molte questioni chiave, dall’ambiente all’educazione, sono perciò scomparse dal dibattito elettorale, tutto focalizzato sui soldi, una battaglia a botte di bonifici e percentuali, cifre e decimali. Tutte unità immaginarie e del tutto fuori scala rispetto all’esperienza umana: milioni di dollari, punti di Pil, un miliardo di euro, mille lire… D’altronde, se concordiamo con Adam Smith che «tutto il denaro è una questione di fede», la finanziaria è una professione di fede, ma con un difetto: raramente guarda sul serio oltre l’anno che verrà.
E il futuro? Parafrasando Aldous Huxley, il «futuro ci può interessare solo se si ha l’impressione che le sue profezie possano plausibilmente avverarsi». Forse sono un vecchio gufo e non so coglierla, ma oggi né la politica né la cultura offrono questa impressione. Pur con molte contraddizioni, Giovanni Giolitti condusse un paese arretrato verso il suo futuro industriale. Secondo Gaetano Salvemini, Giolitti ingrassò cinicamente il Nord a spese del Mezzogiorno, rendendo cronica e insolubile la questione meridionale. Se Salvemini lo definì perciò “ministro della malavita”, Benedetto Croce lo giudicò invece uomo molto accorto, sapiente parlamentare e amministratore, amante dei concetti semplici e cultore del buon senso. Pur essendo un liberale classico, Giolitti agiva con pragmatismo senza indugiare su riflessioni ideologiche. Con pazienza e perizia, navigò in parlamenti ad assetto variabile, quali forse ci attendono nel futuro prossimo. Da vecchio, rifiutò di aderire al fascismo, dopo aver tentennato un po’. E si oppose fino all’ultimo alle leggi del regime.
Non sappiamo chi potrà servire il paese come fu chiamato a fare Giolitti in un momento delicato della storia, un’epoca assai simile all’attuale in cui la ricchezza finanziaria sovrasta il reddito da lavoro in tutto il mondo. Né sappiamo se costui ci sarà per davvero e saprà affrontare con saggezza la questione meridionale; e se vorrà traguardare il futuro, anziché ancorarsi al passato. Dubito, però, che lunedì prossimo avremo già la risposta, perché la possibile affermazione del Partito del Nulla fondato da Gene Gnocchi potrebbe prolungare l’attesa. Non è una ipotesi peregrina, perché la scheda elettorale più confusiva di sempre può far annullare molti voti. E se anche l’astensione sarà consistente, tutto ciò renderebbe qualunque risultato assai debole. Assieme alla democrazia.