Il mio amico e collega di lunga data, Hans Dietrich, ricercatore presso lo IAB, un grande centro studi tedesco che fa la valutazione delle politiche attive per l’impiego, ha visto il mio paper recente dal titolo molto di richiamo sulle transizioni scuola-lavoro in Italia: “Why so slow?”. L’articolo riassume i risultati di una lunga ricerca che è sfociata anche in un libro in italiano dal titolo altrettanto significativo: “Fuori dal tunnel”.

Allora, Hans mi ha chiesto: “Tu accenni solo ai Neet, dicendo che sono tantissimi in Italia, ma non spieghi da dove escono fuori e perché sono così numerosi”. Io ho provato a dare una spiegazione e credo che la risposta sia di interesse per tanti e quindi la propongo qui.

Cause e rimedi

Ci sono milioni di articoli che misurano i Neet. Si sa quanti sono regione per regione e anno per anno; si sa anche la composizione per genere, età, livello d’istruzione e background familiare. Insomma, tanti dottori girano intorno al malato con la lente d’ingrandimento e perlustrano ogni centimetro del suo corpo. Sappiamo tutto sulla dimensione e forma del bubbone e su dove è localizzato, ma pochi parlano di cause e rimedi. All’accanimento descrittivo, non segue una adeguata diagnostica e terapia. Proviamoci noi, allora.

Il motivo per cui ci sono così tanti Neet è che c’è un enorme carenza di esperienza lavorativa dei giovani. Più che altrove, i giovani hanno in Italia un’istruzione molto generale ed astratta, anche a livello universitario. Non dico di scarsa qualità intellettuale. Tutt’altro: quella è fuori discussione, ma l’istruzione è solo una delle componenti del capitale umano. Le imprese cercano capitale umano a tutto tondo e quest’ultimo non è costituito solo dall’istruzione, ma anche dalle competenze lavorative. Non mi stancherò mai di dirlo. È per questo che ci sono tanti Neet: molti hanno un basso livello di istruzione che rende la loro ricerca di un lavoro difficile se non vana in partenza; altri hanno istruzione medio-alta, ma nessuna competenza lavorativa e, perciò, è poco appetibile per le imprese.

Formazione professionale e garanzia giovani

In aggiunta, c’è poca formazione professionale o, quando c’è, è, in media, di scarsa qualità e poca attività in azienda.

Una volta usciti dal circuito scolastico, le politiche attive per l’impiego sono il rimedio tipicamente utilizzato in altri paesi per coprire i gap lasciati dalla scuola.

In Germania si ragiona così: tutti quelli che non vanno al ginnasio (circa il 40% di ogni coorte) devono fare l’apprendistato scolastico ed acquisire le competenze lavorative in azienda, per metà settimana. Si guadagno il 60% dello stipendio di un operaio adulto e, quando finisce, l’azienda ti assume subito. Quei pochi, spesso immigrati, che non sono riusciti ad acquisire una qualifica con l’apprendistato possono entrare nei programmi di formazione professionale e di assistenza alla ricerca di un posto di lavoro offerti dai centri per l’impiego.

La Garanzia Giovani Europea è apparsa subito come un elemento importante, ma a parte le difficoltà organizzative che derivano dallo stato comatoso in cui versano ancora i nostri centri per l’impiego, non ci sono abbastanza soldi per tutta la platea potenziale.

Il governo ha riformato già nel 2015 i centri per l’impiego, ma la mancanza di risorse ha reso il meccanismo dei quasi-mercato, potenzialmente molto efficiente, sostanzialmente inattuato.

In Italia, l’apprendistato non scolastico riguarda ancora solo un 5% dei giovani di ogni coorte. E  perciò neppure questo è proprio un viale alberato.

Crescita debole ed incerta

È vero, il mercato del lavoro è divenuto più flessibile e quindi, in teoria, i giovani potrebbero acquisire l’esperienza lavorativa che gli serve direttamente sul posto di lavoro, non avendola trovato a scuola e/o all’università. Però, la crescita economica, ancorché finalmente in terreno positivo da due anni, il che non è poco, è ancora, purtroppo, percepita come incerta dalle imprese. Perciò, nonostante lo sforzo del governo di rendere il costo del lavoro permanente sempre più simile a quello del lavoro temporaneo, le imprese assumono ancora poco a tempo indeterminato, senza incentivi. Ciò significa che le occasioni lavorative, quando ci sono, sono di breve durata e non consentono perciò di acquisire esperienza lavorativa specifica, ma solo generica. Speriamo che il nuovo governo non interrompa, ma anzi rafforzi la crescita. Una strada potrebbe essere rendere gli incentivi a favore dei giovani permanenti con la defiscalizzazione delle assunzioni di tutti gli under-30.

Ecco perché ci sono tanti Neet in Italia. Bisogna partire da qui per aggredire il bubbone!

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