“Predominanza eccessiva dello slogan rispetto all’argomentazione ed altrettanto eccessiva osservanza alla legge del tweet”. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, non ha dubbi. Il linguaggio di questa campagna elettorale è più che insufficiente. Manca la sintesi ragionata, perché ad essere assenti sono prima di tutto le idee. Ovunque ci si orienti. E trovare qualche eccezione non è impresa da poco.
“Comunicare con brevità è qualcosa che certo funziona e ha una sua funzione, ma ha invaso troppi spazi”, ha aggiunto l’accademico al Corriere della sera. Insomma la comunicazione ufficiale della politica si fa attraverso post su Facebook e Tweet. Ormai le agenzie di stampa riprendono le dichiarazioni sui social. L’abitudine a leggere le notizie anche della politica attraverso pensieri brevi, che in realtà sono spesso degli slogan, ha fatto dimenticare l’importanza del ragionamento. La sua insostituibile presenza. Già perché il tweet non contempla argomentazioni. Per quelle ci dovrebbe essere spazio “prima” o “dopo”. Invece le spiegazioni il più delle volte non ci sono. Oppure sono appena abbozzate. Le argomentazioni rimandate ad un momento che non arriva mai. Hashtag sempre e comunque. Chi non ricorda qualcuno dei tanti di Renzi? Da #lavoltabuona a #amicigufi, passando per #unoxuno. Tweet nei quali l’italiano non è solo contratto ma anche storpiato, introducendo modalità da Whatsapp.
Il pensiero breve ha così abituato ad una semplificazione estrema che chi prova ad argomentare non ha spazio. Peggio, non ha ascolto. Così lo slogan ottiene consensi. Non solo sulla rete. Ma anche in tv. La comunicazione non prevede elaborazione, se non in rare occasioni. Share e consenso si guadagnano alzando i toni e ripetendo tweet che fanno a gara in banalità. In questo consiste la degenerazione della proposta elettorale. Nel proporre alcuni dei temi importanti in maniera qualunquista. Parlando tutti, quasi tutti, una lingua vuota. Nella quale le parole non sembrano scelte, ma prese a caso.
In fondo è proprio questo a mancare in questa campagna elettorale. Parole precise. “Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far si che ogni parola vada a segno”, ha scritto Primo Levi. Ed aveva ragione. Perché le parole vanno scelte e poi cucite insieme.
E’ responsabilità dei candidati scegliere quelle più adatte. E’ dovere degli elettori valutarne la qualità. “La correttezza della lingua è la premessa della chiarezza morale e dell’onestà. Molte mascalzonate e violente prevaricazioni nascono quando si pasticcia con la grammatica”, ha scritto Claudio Magris. Leggendo le dichiarazioni di molti possibili parlamentari, di potenziali premier, se ne ha la conferma. Dietro congiuntivi sbagliati, strafalcioni di storia e di geografia, uso disinvolto di termini inglesi, un desolante qualunquismo.