La firma finale è attesa per il 9 marzo. Il documento punta ad arginare gli accordi tra sindacati e aziende scarsamente rappresentativi che impongono retribuzioni peggiorative. E a mantenere la centralità della contrattazione, che dovrà individuare il trattamento economico complessivo comprensivo anche del welfare aziendale. Bocciata la proposta Pd di un compenso minimo legale
A pochi giorni dalle elezioni, sindacati e Confindustria hanno trovato un accordo sul nuovo modello contrattuale e di relazioni industriali. L’intesa punta, sulla carta, ad aumentare i salari dei lavoratori in tempi di bassa inflazione. Ponendo un argine da un lato al dumping contrattuale dall’altro, come sottolinea un’analisi dell’agenzia Reuters, all’ingerenza della politica. Infatti il documento ribadisce la centralità del contratto nazionale di categoria che dovrà individuare il trattamento economico complessivo (Tec), comprensivo anche del welfare aziendale, e quello minimo (Tem). Stop, dunque, a proposte come quella del Pd di introdurre il salario minimo orario per legge. Il contratto nazionale dovrà anche incentivare il cosiddetto secondo livello di contrattazione, aziendale o territoriale, che consente una integrazione al salario sulla base della produttività del lavoro e dell‘impresa.
L’accordo sarà firmato dopo il voto, il 9 marzo, una volta ottenuto il via libera degli organi direttivi di Cgil, Cisl e Uil. Due le novità principali. La prima è l‘introduzione, per la prima volta, di un criterio di rappresentanza anche per le imprese, per arginare il proliferare dei cosiddetti accordi-pirata. Ovvero contratti stipulati tra sindacati e aziende scarsamente rappresentativi, che impongono ai lavoratori retribuzioni peggiorative rispetto ai contratti di settore. Un recente report del Cnel, ricorda Reuters, indica che su 868 contratti depositati, circa due terzi sono “pirata”.
Il secondo aspetto, più politico, è la volontà delle parti sociali di mantenere un ruolo centrale nella contrattazione a fronte della proposta dem di fissare un salario minimo legale. Nel programma elettorale del Pd si parla di introduzione del salario minimo garantito per tutti i lavoratori non coperti dal contratto collettivo, fissato da una commissione indipendente con sindacati e aziende. I sindacati non hanno fatto mai mistero di essere contrari alla proposta visto che circa l‘80% dei lavoratori è coperta da contratto collettivo e che l‘iniziativa secondo loro snatura il ruolo delle parti sociali.
La leader della Cgil, Susanna Camusso, ha ribadito: “Un netto no a qualsiasi intervento legislativo sul salario”. Di parere opposto è il presidente Inps Tito Boeri che ha parlato di “ipocrisia” dei sindacati perché spesso “per i contratti collettivi non vengono applicati i minimi”. Il tema è comunque centrale tanto che le parti sociali, a pochi giorni dal voto, hanno fatto la loro mossa.
TRATTAMENTO ECONOMICO E INFLAZIONE – Il trattamento economico complessivo sarà costituito, si legge nel testo, dal trattamento minimo tabellare e “da tutti quei trattamenti economici – nei quali, limitatamente a questi fini, sono da ricomprendere fra gli altri anche le eventuali forme di welfare – che il contratto collettivo nazionale di categoria qualificherà come ‘comuni a tutti i lavoratori del settore'”. Le singole categorie potranno anche modificare il Tem. Infatti, “il contratto collettivo nazionale di categoria individuerà i minimi tabellari per il periodo di vigenza contrattuale, intesi quali trattamento economico minimo (Tem). La variazione dei valori del Tem (minimi tabellari) avverrà – secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli Ccnl – in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri della Comunità europea, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’Istat”. E “il contratto collettivo nazionale di categoria, in ragione dei processi di trasformazione e/o di innovazione organizzativa, potrà modificare il valore del Tem”. Il contratto nazionale evidenzierà anche “la durata e la causa di tali trattamenti economici e il livello di contrattazione a cui vengono affidati dovendosi, comunque, disciplinare, per i medesimi trattamenti, gli eventuali effetti economici in sommatoria fra il primo e il secondo livello di contrattazione”.
SECONDO LIVELLO E PRODUTTIVITA’ – Il contratto nazionale spinge anche il secondo livello e la produttività. Infatti, si afferma, “dovrà incentivare lo sviluppo virtuoso – quantitativo e qualitativo – della contrattazione di secondo livello, orientando le intese aziendali, ovvero quelle territoriali (laddove esistenti), verso il riconoscimento di trattamenti economici strettamente legati a reali e concordati obiettivi di crescita della produttività aziendale, di qualità, di efficienza, di redditività, di innovazione, valorizzando i processi di digitalizzazione e favorendo forme e modalità di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori”.
RAPPRESENTANZA IMPRESE CONTRO DUMPING – Si definisce la misurazione della rappresentanza anche per le imprese. E si contrasta il dumping contrattuale, ovvero la proliferazione di contratti firmati da organizzazioni non rappresentative. “Conoscere l’effettivo livello di rappresentanza di entrambe le parti stipulanti un Ccnl, infatti, è indispensabile se si vuole davvero contrastare la proliferazione di contratti collettivi, stipulati da soggetti senza nessuna rappresentanza certificata, finalizzati esclusivamente a dare copertura formale a situazioni di vero e proprio dumping contrattuale che alterano la concorrenza fra imprese e danneggiano lavoratrici e lavoratori”.