Il gesto di un carabiniere di 44 anni che ha ridotto in fin di vita la moglie, Antonietta Gargiulo e ha ucciso le figlie, Martina e Alessia di 13 e 7 anni mentre erano ancora nei loro letti, abbandonate al sonno, si inscrive nell’ennesima cronaca di morti annunciate.

Luigi Capasso che sui social postava foto e amava definirsi “padre” non ha esitato a uccidere le figlie come un killer che si rivale sugli ostaggi. I quotidiani oggi raccontano di una donna che aveva deciso di separarsi, ma non i motivi della separazione e sono più occupati a costruire la narrazione idilliaca di quanto l’assassino proclamasse sui social l’amore per Martina e Alessia e acquistasse per loro i sacchetti di patatine fritte e confezioni di cioccolato al bar sotto casa. Omettono la narrazione che doverosamente dovrebbe fare luce sulle dinamiche della violenza maschile contro le donne e sottolineare il rischio che aumenta proprio nel momento in cui la donna dice basta e decide di separarsi. Le omissioni dei cronisti sono lo specchio della nostra società che rimuove la violenza e aderisce all’ideologia che scinde l’uomo violento dal padre. Ma un uomo violento non è mai buon padre.

Antonietta aveva fatto un esposto contro il marito, si era rivolta mal consigliata a un luogo di mediazione familiare dove era stata seguita insieme al marito. Si è perso tempo prezioso. La mediazione famigliare o di coppia è vietata dalla Convenzione di Istanbul (articolo 48) nei casi di violenza perché l’unica azione da compiere è la protezione delle vittime. Dopo la mediazione, che era per ovvi motivi fallita (lui non accettava la separazione, punto), si era rivolta ai servizi sociali e all’associazione Valore Donna ed era stata messa in contatto con una legale per la separazione mentre il clima di minaccia cresceva.

Luigi Capasso le faceva stalking appostandosi anche vicino al luogo di lavoro per aggredirla davanti ai colleghi e con spregiudicatezza si era rivolto strumentalmente alla legge: aveva fatto un esposto nei confronti della moglie perché non vedeva le figlie che lo temevano e non volevano incontrarlo. In un momento in cui le prassi nei Tribunali con le Ctu colpevolizzano le donne che subiscono violenza perché la loro paura o la paura dei loro figli diventa un elemento a discarico dell’autore dei maltrattamenti è importante scardinare il sistema che avvantaggia i violenti in nome del ruolo paterno (il problema è stato denunciato venerdì scorso a Lucca dall’associazione D.i.Re).

Nell’ennesimo caso di femminicidio e figlicidio che cosa si poteva fare, che cosa non è stato fatto?A Latina opera il Centro donna Lilith. Le attiviste ora sono sconvolte e hanno commentato che è “importante il lavoro di rete fra tutti i soggetti che possano intercettare le vittime di violenza che devono essere in grado di valutare l’indice di rischio e quindi mettere in protezione la donna. Tutto ciò deve essere fatto con celerità: è ormai assodato che il momento in cui una donna decide di separarsi è un momento critico, quello in cui più frequenti sono le reazioni violente e i femminicidi. Ribadiamo, forti della nostra esperienza che le donne non denunciano con facilità il proprio partner o ex, che spesso è il padre dei loro figli/e. Solo facendo un percorso di consapevolezza in un centro antiviolenza potranno acquisire gli strumenti che aiuteranno a prendere una decisione per proteggere se stesse e i propri figli”.

Restano ora sulla coscienza addormentata di un Paese ignavo la morte di una bambina, di una ragazza e una donna ridotta in fin di vita insieme ai “se” amari e dolorosi. Se Antonietta se fosse stata messa in protezione insieme alle figlie, se avesse denunciato, se fosse stata tolta l’arma al marito. Se.

@nadiesdaa

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