Anche The Square non scherza per nulla. Dopo il sorprendente Forza maggiore, il regista svedese Ruben Östlund mostra ancora una volta la contraddittoria analisi antropologica dell’essere umano declinata sul versante della bolla speculativa etica, finanziaria e culturale dell’arte contemporanea. Christian è il rampante ed elegante direttore del museo X Royal pronto a spiegare alla stampa il (non) significato della “mostra/ non mostra” The Square, ovvero un quadrato ricavato in mezzo a dei sanpietrini davanti all’uscio del museo su cui è scritto “santuario di fiducia e altruismo al suo interno dove tutti hanno gli stessi diritti e doveri”. Peccato che un paio di passanti rubino a Christian lo smartphone dopo averlo buggerato come un pivello e lui si infuri come una belva andando a cercarli per riavere il maltolto. The Square ha dalla sua un testo che parla il linguaggio universale delle installazioni e dell’arte concettuale spinta agli estremi, e in alcuni momenti ricorda perfino alcuni lampi di surrealismo bunueliani. Per questo i giurati dell’Academy non rimarranno indifferenti. Per contro, il film di Ostlund è difficilmente inquadrabile in una filmografia nazionale come quella svedese più introspettiva e drammatica, dal momento che l’Oscar come Miglior Film Straniero rispecchia spesso una semplificazione un po’ stereotipata dei singoli paesi di provenienza. Per la cronaca: la Svezia è alla sua 16esima nomination. Tre gli Oscar vinti sempre da Ingmar Bergman (un po’ come la zavorra Fellini/De Sica/Antonioni per i film italiani) con La Fontana della vergine (1961), Come in uno specchio (1962), e Fanny e Alexander (1973). Distributore Usa: la non proprio lanciatissima Magnolia.
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