The Insult è un altro di quei film che hanno sorpreso nell’annata 2017. Probabilmente tra i cinque è anche quello meno connotato dal punto di vista dello stile di regia. Ziad Doueiri, già assistente alla regia di diversi film di Quentin Tarantino, ha voluto plasmare politicamente la sua storia apparentemente banale che prende spunto da un busillis: una grondaia sporgente da un terrazzo perde acqua. Il capocantiere palestinese la fa riparare, ma l’inquilino cristiano libanese esce sul terrazzo infuriato e distrugge la riparazione. Al palestinese che osserva attonito scappa un insulto verso l’inquilino. Questione privata da nulla che, in un movimentato crescendo di suspense e microeventi quotidiani, si fa questione pubblica, storica ed etica, tra processi giudiziari e scontri familiari. Doueiri sbatte così sul muso dell’informato pubblico occidentale, che sapeva primariamente delle stragi cristiano libanesi compiute assieme ad Israele contro i palestinesi, della violenza senza limiti dei filopalestinesi. Non c’è manicheismo nel film, ma il dubbio che la storia sia più complessa di quella che è stata raccontata, e che la soluzione sta in una pacificazione del basso, viene affermato forte e chiaro. Probabile che questo elemento politicamente “riparatore” faccia colpo nell’Academy. Anche se il distributore statunitense di The Insult è Cohen Media Group che proprio un anno fa ha già raccolto l’Oscar per il Miglior Film Straniero con l’osannato iraniano The Salesman. Il Libano è alla sua prima nomination nella categoria suddetta.
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