Ai Cinque Stelle serve un piano B. Tutta la campagna elettorale è stata impostata da Luigi Di Maio sulla trasformazione di un movimento di protesta in una forza di governo.

Beppe Grillo ha chiuso l’epoca del “vaffa” con un (confuso) video e c’è già una squadra di ministri pronta, la cui presentazione è stata un atto di trasparenza che per alcuni ha sconfinato nell’arroganza ma che di sicuro ha contribuito a trasmettere l’idea di essere in condizione di gestire la responsabilità del governo.

Per arrivare a Palazzo Chigi i Cinque stelle hanno sacrificato molti punti fondanti del loro messaggio politico: non c’è quasi più la critica all’Unione europea, il mantra “Legalità” è stato accantonato (non tanto perché c’è qualche indagato qui e là, poca roba, ma perché si è scelto di inseguire il voto degli evasori fiscali che in un Paese dove tutti evadono sono, per definizione, molti), di ambiente si parla ben poco e così via.

Non è svanita la carica populistica – termine che non implica per forza un giudizio di valore – ma abbiamo assistito all’istituzionalizzazione del populismo. Che è un esito imprevisto da molti degli avversari dei Cinque Stelle, gli stessi che mai avrebbero pensato nel 2013 che delle piazze urlanti potessero diventare una forza politica parlamentare consistente.

Eppure i Cinque Stelle non possono vincere, se per vittoria intendiamo avere la maggioranza del Parlamento. I sondaggi non si possono pubblicare ma continuano a girare. Non credo di rischiare sanzioni dall’Agcom se rivelo che la situazione non è radicalmente cambiata rispetto agli ultimi dati di dominio pubblico. Anche nel caso i Cinque Stelle arrivino al 30 per cento non prenderanno molto più di 150 seggi alla Camera (la maggioranza è 316) e 80 al Senato (la maggioranza è 161).

Non siamo in Germania, gli accordi di coalizione scritti, firmati dai leader e approvati dalle basi dei partiti coinvolti non sono immaginabili. E poiché i Cinque Stelle dicono di non essere pronti a cedere poltrone ai partiti che volessero convergere sulle loro proposte, è praticamente impossibile che ci sia un eventuale governo Di Maio possa avere la fiducia nelle due camere. Non c’è un partito con abbastanza seggi e sufficiente propensione al suicidio che possa pensare di sostenere un governo M5S in cui non esprime alcun ministro o sottosegretario. Fine della discussione.

Par di capire che ci siano già dei premi di consolazione pronti: a Di Maio la presidenza della Camera, ai Cinque Stelle un ruolo di primo piano per scrivere una nuova legge elettorale, in caso di stallo (improbabile se il centrodestra avanza ancora un po’). Ma non basta.

Ai Cinque Stelle serve un piano B vero. Vogliono fare un’opposizione seria ed efficace, come tante volte hanno dimostrato di essere in grado di essere, oppure tornare in piazza a protestare contro la vittoria mutilata, magari guidati da un Alessandro Di Battista che, almeno per ora, ha sicuramente passato più tempo in tv e nei comizi che con la famiglia per la quale ha detto di aver rinunciato alla candidatura?

In questi anni, il Movimento Cinque Stelle è vissuto in una lunga attesa, quella della vittoria. Non è detto che andare a palazzo Chigi sia l’unica ambizione legittima e sensata per il Movimento. C’è molto più bisogno di una forza intransigente e onesta di opposizione che di un ennesimo partito pigliatutto che compete per avere qualche elettore in più al centro.

Anche a leggere il programma del Movimento Cinque Stelle, cosa che ho fatto con attenzione, è chiaro che tutta la parte propositiva è quantomeno vaga, spesso implausibile, a volte di una ingenuità sorprendente e inaccettabile per il primo partito italiano. Mentre quando il Movimento ingaggia battaglia – sulle banche, sui vitalizi, sulla trasparenza, sui lobbisti – riesce a essere duro, efficace, costringe gli altri partiti a seguire la sua agenda e a mutuarne alcuni comportamenti virtuosi.

In una democrazia parlamentare ci sono eccome gli strumenti per cambiare la società anche dall’opposizione, il Pci lo ha fatto per tutta la Prima Repubblica, non è stato certo un partito inutile soltanto perché non ha mai espresso un presidente del Consiglio (e visto che il primo di quella schiatta è stato Massimo D’Alema, viene da aggiungere: per fortuna che non lo ha espresso).

A 48 ore dalle elezioni, Di Maio e i vertici dei Cinque Stelle non hanno ancora preparato il proprio elettorato e i futuri eletti a quello che sembra il risultato più realistico: una legislatura a rappresentare l’opposizione più rilevante in Parlamento, magari con qualche presidenza di garanzia che conta. Meglio cominciare a pensarci subito, invece che dover affrontare mesi di indignazione per l’inciucio (probabile) tra Pd e Forza Italia o per una destra che torna al governo (molto probabile).

L’opposizione serve. A volte più che andare al governo. E bisogna saperla fare.

In bocca al lupo.

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