In Italia esiste un servizio di protezione per le ragazze che vogliono sottrarsi ai matrimoni forzati: alle giovani viene offerta un’opportunità di fuggire da casa, insieme a un nome nuovo e una residenza protetta dove nascondersi dai parenti. Questo servizio non è regolato da alcuna legge, ma è sorto in modo spontaneo tra centri antiviolenza, assistenti sociali e funzionari pubblici volonterosi. Lo racconta, per la prima volta, Fq MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 3 marzo con un numero interamente firmato da donne. Per realizzare l’inchiesta, abbiamo incontrato in esclusiva, in un luogo segreto del Sud Italia, Shaheen, una ragazza pakistana che da un anno si nasconde dopo essere fuggita dalla sua famiglia e ora combatte contro nostalgia e solitudine per restare libera. Ci ha raccontato di quando è scappata (“Sai quando dici che sei partito con una valigia mezza vuota? Io non avevo nemmeno la valigia”), ma anche la difficoltà di non cedere (“Mi sento in colpa, mi manca la mia mamma”).
Ci sono tante Shaheen in Italia, ma in pochi lo sanno. Come vengono aiutate ce lo ha raccontato Tiziana Dal Pra, presidentessa del centro antiviolenza Trama di Terre a Imola, una delle eccellenze in questo campo che segue le ragazze promesse spose contro la loro volontà, una pratica diffusa in particolare nelle comunità pachistane, indiane e bengalesi. Il primo allarme può arrivare per esempio da un’insegnante, una bidella o dal referente di uno stage. “Dopo la prima richiesta”, spiega Alessandra Davide, responsabile del centro antiviolenza di Trama di Terre, “cerchiamo di vedere di nascosto le ragazze e ci vogliono vari colloqui prima che decidano di scappare. È complesso comunicare e dobbiamo inventarci strategie per incontrarle dove non sono controllate dalla famiglia”. Se la giovane ha meno di 18 anni vengono contattati i servizi sociali, quindi la Procura dei minori e si può procedere con l’allontanamento. Se maggiorenne, invece, è la ragazza che deve decidere da sola.
In mancanza di una legge specifica, il servizio protezione “fai da te” non ha i poteri di quello che lo Stato riserva per esempio, ai testimoni di giustizia nelle indagini antimafia: “Per sicurezza, le ragazze sono trasferite il più lontano possibile da casa e chiediamo loro di scegliere un falso nome, anche se poi non abbiamo il diritto di modificare i documenti”, continua Alessandra Davide. “È la banalità della burocrazia quotidiana: c’è sempre il rischio che, durante una pratica, la notifica finisca alla residenza della famiglia”.
Non esistono dati ufficiali su quante ragazze in Italia siano forzate a sposarsi, spesso con parenti residenti in Italia o nel Paese d’origine. Dal 2011, la sola Trama dei Terre si è occupata di 49 giovani donne: 31 dal Pakistan, 4 dall’Albania, 3 dal Bangladesh, 3 dal Marocco, 2 dall’India, 1 dallo Sri Lanka, 1 dalla Tunisia, 1 dalla Costa d’Avorio, 1 dall’Afghanistan, 1 dal Kurdistan, 1 dall’Iran. Alcune di loro raccontano le loro storie e le loro nuove vite nelle pagine di FqMillenniuM.
Il caso che ha portato alla ribalta della cronaca la pratica dei matrimoni forzati in Italia è stato quella della ventenne pachistana Hina Saleem, sgozzata dal padre a Brescia nel 2006, dopo aver rifiutato lo sposo imposto dalla famiglia. Il padre Mohammed è stato condannato in via definitiva a 30 anni di carcere.