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‘Ndrangheta, l’avvocato De Stefano condannato a 20 anni: “Vertice del direttorio che detta gli indirizzi politici”

Si è concluso con pesanti condanne lo stralcio per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato nel processo Gotha. Il gup Pasquale Laganà ha praticamente accolto le richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dei sostituti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e ha riconosciuto non solo l’esistenza dell’associazione mafiosa ma anche di un’associazione segreta, capace di infiltrarsi negli enti locali

Ha retto l’impianto accusatorio del processo Gotha. A Reggio Calabria non c’è solo la ‘ndrangheta ma anche un direttorio delle cosche che risponde, tra gli altri, al nome dell’avvocato Giorgio De Stefano. Si è concluso con pesanti condanne lo stralcio per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Il gup Pasquale Laganà ha praticamente accolto le richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dei sostituti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e ha riconosciuto non solo l’esistenza dell’associazione mafiosa ma anche di un’associazione segreta, capace di infiltrarsi negli enti locali dettandone gli indirizzi politici.

Il processo Gotha, nato dalla riunione delle inchieste Mamma Santissima, Reghion, Fata Morgana e Sistema Reggio, si è concluso quindi con la condanna a 20 anni di carcere per l’avvocato Giorgio De Stefano, zio del boss Giuseppe De Stefano, già condannato nel processo Meta. Al fratello di quest’ultimo, Dimitri De Stefano, rampollo della cosca e da sempre salvaguardato dalla potente famiglia mafiosa, sono stati inflitti 13 anni e 4 mesi di carcere. Frequentatore di calciatori e della Reggio bene che per anni lo ha difeso nei salotti buoni della città, Dimitri è il figlio del defunto don Paolino De Stefano, capo indiscusso di Archi fino al 1985 quando è stato ucciso all’inizio della seconda guerra di mafia.

Il procedimento, nato dalle inchieste dei carabinieri del Ros, della guardia di finanza e della polizia, è il primo maxi-processo alla cupola della ‘ndrangheta dai tempi dell’operazione Olimpia. Complessivamente sono 28 le condanne e 10 assoluzioni per gli imputati di questo stralcio. Alla sbarra c’era il “direttorio” della ‘ndrangheta, una struttura con una strategia programmatica che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”. Un direttorio che, stando all’impostazione della procura, aveva due teste pensanti: gli avvocati Paolo Romeo (ex parlamentare del Psdi che ha scelto il rito ordinario assieme al senatore di Gal Antonio Caridi) e Giorgio De Stefano. Entrambi vengono definiti dalla Direzione distrettuale antimafia come “soggetti cerniera che interagiscono tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione criminale”.

Erano loro “il motore immobile del sistema criminale” sul quale l’inchiesta “Mamma Santissima” e le altre indagini della dda hanno aperto uno squarcio che ha dato la sensazione plastica del rapporto politica-‘ndrangheta in cui la massoneria gioca un ruolo decisivo. Grembiulini e clan legati alla destra eversiva e con progetti separatisti che, in un passato non troppo lontano, hanno cercato di minare l’ordine costituzionale per poi trovare spazio nelle istituzioni e condizionarle. Come molti pentiti hanno rivelato, a Reggio “i De Stefano tutto possono”. “E tutto possono, – ha affermato durante la requisitoria il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – non perché hanno un marchio particolarmente appetibile, ma perché hanno una storia e hanno al loro interno determinate intelligenze, perché sono gli uomini che trasformano tutto, purtroppo anche in ambito criminale”.

A proposito, il magistrato ha definito l’avvocato Giorgio De Stefano “una grande intelligenza criminale, che ovviamente non solo ha saputo negli anni mutuare il suo ruolo con grande oculatezza, ma è riuscito come solo il grande stratega sa fare, a far muovere gli altri. Purtroppo per lui determinate tracce le ha lasciate nel momento in cui si è sentito più sicuro, nel momento in cui le ricostruzioni che venivano fatte in ambito giudiziario lo rassicuravano molto. Ha abbassato la guardia ad un certo punto, perché ha pensato che la procura si sarebbe fermata al Crimine di Polsi, non considerando che nella procura della Repubblica di Reggio Calabria qualcuno non si sarebbe fermato, non perché era portatore di idee originali, ma perché aveva in mano le tracce di un qualcosa che a Polsi non finiva. Perché a Polsi la ‘ndrangheta inizia, non finisce”.

Sono stati condannati a 20 anni di carcere, quindi, anche Mario e Domenico Stillitano. Tra gli altri, inoltre, sono stati giudicati colpevoli Antonino Nicolò e Roberto Franco (18 anni), l’imprenditore Emilio Angelo Frascati (13 anni e 4 mesi), il commercialista Natale Saraceno (12 anni), Domenico Marcianò (12 anni), Giovanni Pellicano (10 anni), l’ex consigliere della società in house della Regione Calabria Fincalabra, Antonino Idone (2 anni), il cancelliere della Corte d’Appello, Aldo Inuso (4 anni) e l’ex sindaco di Villa San Giovanni, Antonio Messina (3 anni e 4 mesi di reclusione).

Nelle prossime settimane entrerà nel vivo l’altro filone per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. E dalle carte inserite nei faldoni del processo spunta come il direttorio della ‘ndrangheta a Reggio abbia sostenuto per anni il centrodestra e l’ascesa dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. In questa logica, infatti, si inquadrerebbe la carriera politica dell’ex sindaco e del suo fedelissimo Antonio Caridi, l’ex assessore comunale e regionale che, a un certo punto, è diventato senatore. Nel 2014, invece, il direttorio delle cosche ha tentato di infiltrarsi nelle file del Partito democratico spostando i suoi voti a sinistra in occasioni delle regionali e comunali. Non senza il sostegno degli ambienti massonici della città dello Stretto.

AGGIORNAMENTO
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 19 febbraio 2021, ha assolto in via definitiva Antonio Idone dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.