“L’ha fatto Rihanna negli Stati Uniti un anno fa. E allora ci siamo chiesti: perché non provarci anche noi?”. Si chiama Musical Sense ed è il titolo del primo disco in linguaggio Braille in Italia. L’idea viene da uno studio discografico pugliese, la Joe Black Production. I protagonisti, però, sono due ragazzi migranti e rifugiati.
Nathaniel ha 27 anni, ha perso la vista quando ne aveva 11, è di religione cristiana e viene dalla Liberia. Ahmad Maarrawi invece ha 42 anni, è non vedente dalla nascita e viene dalla Siria. È di religione musulmana, ha perso 4 dei suoi 8 figli sotto i bombardamenti di Aleppo ed è arrivato in Puglia accompagnato dalla moglie, la madre e i suoi figli. Ahmad e Nathaniel si sono incontrati per la prima volta nell’aprile 2017 durante il corso di Braille, il sistema di scrittura e lettura in rilievo per non vedenti e ipovedenti, che l’associazione Salam ha disposto insieme alla scuola di italiano presso lo Sprar di Martina Franca.
Dopo varie ricerche abbiamo capito che nessuno, in Italia e in Europa, aveva provato a lanciare un disco in Braille
È stato durante i vari colloqui conoscitivi e motivazionali con l’assistente sociale e la psicologa che è emerso quanto la musica per loro fosse importante. Nel suo Paese, prima della perdita della vista, Nathaniel cantava in un coro, suonava l’organo in chiesa e faceva l’allenatore di calcio. Oggi la sua più grande passione è la musica: va matto per il gospel e il rap, compone i testi e gli accordi delle sue canzoni e non si separa mai dal suo mp3. Ahmad è invece un abile percussionista e durante gli anni di scuola ad Aleppo ha frequentato un corso di musica e ha imparato a suonare il djembe.
Il disco uscirà nei primi mesi del 2018. L’idea è nata dal produttore Giovanni Orlando su sollecitazione della presidente dell’associazione Salam, Simona Fernandez, che per prima gli aveva parlato di due musicisti non vedenti rifugiati di guerra. “Dopo varie ricerche abbiamo capito che nessuno, in Italia e in Europa, aveva provato a lanciare un disco in Braille – raccontano dalla casa di produzione – Abbiamo pensato, così, che la nostra poteva essere una buona idea”.
La registrazione del suono avviene seguendo le tecniche tradizionali utilizzate in tutto il mondo: in sostanza, mentre Nathaniel (il cantante) registra la sua voce in più sessioni, Ahmad lo accompagna suonando la daarbuka e la tabla egiziana. Il tutto, poi, viene abilmente montato in una fase di post-produzione.
Grazie alla collaborazione di un’associazione esterna tra poco cominceranno anche l’allenamento sportivo
Le giornate in Puglia sono piene di impegni. Ahmad e Nathaniel seguono in prima linea le attività organizzate nello Sprar: sono destinatari, ad esempio, di un progetto per l’autonomia e il tutorato nella tiflologia (la scienza che studia le condizioni della disabilità visiva). E ancora, frequentano corsi manuali, quelli per il potenziamento delle capacità tattili e le attività di orientamento e mobilità in ambito cittadino con il bastone bianco. “E grazie alla collaborazione di un’associazione esterna tra poco cominceranno anche l’allenamento sportivo”, aggiunge il produttore Giovanni Orlando.
Le prime reazioni alla notizia del disco sono state positive ed entusiasmanti. Tranne i soliti idioti del web “che hanno protestato in quanto migranti di colore”, racconta Orlando. Crearsi aspettative in un mercato molto difficile come quello discografico italiano sarebbe sbagliato: “Ma rimaniamo positivi – continuano dalla casa discografica – Crediamo nel valore sociale del progetto, nella sua capacità di unire culture diverse (Liberia, Siria e Italia) e siamo consapevoli che, molto probabilmente, siamo gli unici a lavorare in questo modo”.
Così la musica diventa anche un rifugio nei momenti difficili
Programmi per i prossimi anni? Ahmad è padre sogna innanzitutto di dare un futuro migliore ai suoi figli in Europa; Nathaniel è un ragazzo giovane e spera di riuscire a crearsi una vita qui in Italia, dove dice “di avere una nuova famiglia”. È vero, spesso la malinconia è forte e si fa sentire il peso della lontananza dagli affetti che hanno dovuto lasciare.
Grazie alla musica i due hanno trovato un rifugio dove trovare conforto nei momenti negativi, ma anche uno strumento per denunciare, urlare, raccontare le proprie emozioni. Nathaniel vorrebbe continuare a suonare, così come Ahmad vorrebbe imparare un nuovo strumento. “L’obiettivo è questo: incoraggiare tutte le persone come noi – concludono – dire loro di non perdere la speranza in una vita migliore. Essere di esempio e di incoraggiamento per continuare a perseguire i sogni con determinazione”. I concerti sono all’orizzonte: “Sì, servirà più assistenza pre e post esibizione: ma ci stiamo lavorando”.
(foto di Fabiola @Bringout)