Non più limite all’indecenza, se Walter Veltroni, «il principio della fine» del Pd, si tira fuori dal congelatore, per fare propaganda all’amico Gentiloni che tutti vogliono come presidente del Consiglio, continuatore della fulgida esperienza precedente l’elezione. Nonostante siano passati undici anni dalla sua sconfitta elettorale, per lui, con accanto Gentiloni, Berlusconi (fanno sempre rima) è e rimane «il principale esponente dello schieramento a noi avverso». Nessuna parola è capace di commento. Prima di lui, è Romano Prodi, che, quasi un patriarca senza più tribù se non uno scadente Santagata con ben sette incarichi in altrettante società (immagino tutte retribuite), a santificare il sorridente Gentiloni che prende e porta casa, innervosendo Renzi che ormai può dire addio a ogni velleità di ritornare al governo. Due fatti emblematici che dicono molto sulle prossime elezioni, che penso riserveranno molte sorprese. Prima però è utile ricordare alcuni fatti che dovrebbero fare pensare.
La prima riguarda il gesto di Prodi, sempre più amletico, che ha due livelli di lettura: il primo superficiale, evidente con cui appoggia Gentiloni alla sua maniera, senza dire e non dire, esponendosi facendo finta di non esporsi, insomma alla curiale clericale. Prodi non ha appoggiato Gentiloni, ma si è servito di lui per dire che non votava il Pd a motivo di Renzi e per farlo ha imposto al suo chierichetto, Giulio Santagata, di mettere in piedi una listarella per disturbare il manovratore qualora superasse il 3%, in caso contrario regalerà al Pd qualche decimale. Il prezzo che ha dovuto pagare, per dare credibilità al suo gesto di stizza, è stato accusare quelli di LeU di autarchia e leggerezza sulla solfa dell’unità a sinistra, stravolgendo sia la verità storica (fu Renzi a sbattere fuori ogni suo oppositore), ma anche facendo finta di non sapere che non esiste «sinistra». Anche il poco «sereno» Enrico Letta si mette sulla stessa linea, per rimarcare che non vota Renzi, ma un altro, anche un rospo, se necessario.
Prodi votò «sì» al referendum costituzionale, «anche se – disse – le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie»; senz’arte né parte, come un Cincinnato senza neanche l’orto, interviene «motu proprio» più per fare uno sgambetto allo statino di Rignano che per sostenere Santagata. Questi statisti che quando «statiscono» non starnutiscono, ma parlano a suocera perché nuora intenda, sono semplicemente patetici.
Walter Veltroni, il «Uolter» di un secolo fa che si aggira come un fantasma, cercando un riposo che non trova, farebbe bene a dedicarsi ai film «d’essai», magari non facendo addormentare i protagonisti. Il pateticume della sua seriosa posa e il suo sguardo smarrito nell’orrido delle prossime elezioni, non spinge né lui né i suoi a fare una critica sui loro errori che hanno portato alla nascita dello sgorbio del renzismo e, come conseguenza logica, alla distruzione di un partito, il Pd, che oggi scopre di non essere mai stato di un partito di «sinistra». Ne prendiamo atto e non votandolo, giriamo pagina, perché votarlo sarebbe come sputare sulla Costituzione.
Paolo Gentiloni Silveri è conte, discendente dell’omonimo casato, nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata, nelle Marche. Il personaggio più importante del casato fu il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, che diede il nome al «patto» tra i liberali di Giovanni Giolitti e i cattolici per chiudere la questione romana con il Vaticano e portare i cattolici a votare alle elezioni del 1913. Il Gentiloni Ottorino, che godette della fiducia di Pio X, il papa più reazionario del sec. XX, fu determinante per superare il «non expedit» di Pio IX che proibiva ai cattolici di partecipare alla vita politica. Il rampollo superstite, Paolo Gentiloni, che tutti invocano come messia elettorale, è così educato perché ha fatto la scuola materna Montessori: tutto su misura e niente fuori posto, mai alzare la voce. Grandicello fu anche catechista, frequentò il liceo Torquato Tasso, studio inglese, francese e tedesco, presago del suo radioso futuro con Macron e la Merkel, come oggi si evince.
Costui che dovrebbe essere l’immagine sublime della correttezza è invece il presidente del Consiglio dei ministri del governo italiano più immorale della storia degli ultimi 50 anni, tolto, logicamente, va da sé «il principale esponente dello schieramento a loro avverso», cioè il pregiudicato e condannato definitivo per frode fiscale – quindi per furto alla collettività – tale Berluska di Arcore, padre fondatore del nuovo Pd di Renzi. Perché il più immorale? Risposta da catechismo: un governo decente, veramente democratico, che abbia consapevolezza di rappresentare tutta la Nazione e non un partito, non dovrebbe usare denaro pubblico per farsi pubblicità e farla al suo partito. Il presidente del Consiglio, specialmente, se da giovane, ha fatto il catechista, non dovrebbe nemmeno partecipare alla campagna elettorale, perché essere il capo del governo e il rappresentante di un partito, al altro alla deriva, è incompatibile. Non solo, usare denaro pubblico per elargire aumenti agli statali e ai dipendenti degli enti locali, è immorale. Gli ultimi sei mesi di governo, dovrebbero essere un «semestre bianco», in cui il governo dovrebbe svolgere solo l’ordinaria amministrazione col divieto formale di fare spese non strettamente necessarie a qualche emergenza: niente rinnovi di contratti, niente finanziamenti di progetti, niente di niente di niente. Solo così il governo, Gentiloni o Scortesoni che sia, può dirsi «governo». Quello che sta accadendo è ignobile, motivo ancora di più per votare contro Gentiloni e chi lo sostiene.
Non vi sarà alcun governo decente, perché tutto è stato deciso, prima delle elezioni, alla faccia della democrazia e del voto dagli stessi che si scandalizzano della lista ministeriale di Di Maio. In Parlamento occorre, essenziale come l’acqua, un’opposizione dura e senza sconti e questa, sic stantibus rebus, può essere solo M5S, al di là di ogni perplessità e pudore. Vedo il Pd spaccarsi ancora, Renzi da una parte e i colonnelli dall’altra, vedo prostituzione e mercimonio ovunque. Si consiglia maschera antigas.