I segnali erano evidenti a chi volesse coglierli. Cinque anni di governo indecoroso, fatto di arroganza, distacco dalla realtà, montatura di un clima anti-migranti, politiche di austerità, cialtronerie varie, non potevano che produrre il risultato del 4 marzo. La fuga di buona parte dell’elettorato del centrosinistra verso un M5S che però diventa sempre più “partito piglia-tutti” e l’egemonia della destra xenofoba nel centrodestra.
Questa è l’eredita che Matteo Renzi, e con lui la presidenza di Giorgio Napolitano, oltre che l’inanità del vecchio gruppo dirigente della sinistra italiana, lasciano al paese. L’arroganza del segretario Pd (per quanto?) insieme alla manovra di palazzo di Giorgio Napolitano resteranno negli annali della politica come esempi di idiozia politica, bassezza scambiata per scaltrezza, piccolo cabotaggio scambiato per statismo.
Il voto al Movimento 5 Stelle, novità di maggior rilievo, rappresenta il voto in cui circa 10 milioni di italiani si rifugiano sperando che sia vero quanto Luigi Di Maio ha promesso nel comizio di chiusura in piazza del Popolo, cioè che “nessuno verrà abbandonato dallo Stato”. Il “sovranismo” in salsa italiana potrebbe essere soprattutto questo e la misura che più lo compendia è quel “reddito di cittadinanza” che, se andasse al governo, il Movimento dovrebbe varare immediatamente. Non è più, quindi, solo la tendenza che proviene dall’ultimo decennio: voto contro “la casta”, insofferenza, disgusto e anche voglia di vedere un cambiamento in una politica, non solo italiana, ma europea, che non cambia mai. Il fatto che questo nuovo voto venga da una spinta alle urne, con un’affluenza inaspettata, sembra confermare questa analisi.
Certo, nel voto al M5S c’è anche una componente cosiddetta populista che rimastica il discorso xenofobo delle persone perbene, quell’idiosincrasia istintiva verso gli immigrati che sentiamo quotidianamente in qualsiasi discorso pubblico. Il M5S interpreta questo umore cercando di moderarlo, ma senza smentirlo e questo rappresenta il problema principale anche per chi, a sinistra, potrebbe proporsi di sostenere un eventuale governo Di Maio. Il quale, però, ormai da tempo si propone come una sorta di nuovo centro, una “balena gialla” che si colloca al centro del sistema politico.
Alla sua destra c’è una nuova coalizione capeggiata non più da Berlusconi (gli italiani si sono accorti dell’usato truffaldino e di quanto l’ex Cavaliere sia bollito, rottamandolo finalmente) ma dalla Lega di Matteo Salvini. In linea con quanto accade in tutta Europa l’Italia si ritrova così con un possibile governo sovranista e xenofobo.
A sinistra più che il campo di Agramante ci sono solo le macerie prodotte da un gruppo dirigente storicamente narciso, inetto e sostanzialmente incapace. Il fallimento di Matteo Renzi è evidente ai più e chi l’ha osteggiato nel suo partito, ma rendendosi responsabile dei fallimenti passati (D’Alema e Bersani) non ha avuto la minima credibilità per interpretare un’alternativa. La candidatura di Pietro Grasso, poi, si è dimostrata pietosa e del tutto inadatta alla fase moderna, mentre Potere al Popolo, oltre all’illusione di poter rifondare la sinistra per via elettorale non ha nessuna riflessione seria sul perché si è arrivati dove siamo e su come modificare forme e contenuti dell’azione politica.
L’Italia sembra così avviarsi a una fase di instabilità anche se le classi dirigenti, o quel che rimane, si affretteranno a riciclarsi all’interno dei confini dei “nuovi barbari”. Il linguaggio dei populisti probabilmente si modererà per cercare di avvicinarsi al governo e questo probabilmente si trasferirà soprattutto sul profilo e sul futuro del M5S, il partito che più di altri è candidato a dare forma a una politica moderna, liquida, in cui prevale la delega e in cui la modernità non il volto della sicumera fuori tempo di Renzi, ma della “forza tranquilla” che offre sicurezze e cerca di stabilizzare un sistema fuori controllo.
A chi sente di appartenere ancora alla sinistra resta una strada: spazzati via i vecchi gruppi dirigenti occorre lavorare per ricostruire credibilità e fiducia e questo si otterrà solo con una analisi impietosa della realtà e del passato, con una elaborazione politica all’altezza dei tempi e, soprattutto, ricostruendo i fili sottili di una nuova solidarietà di classe.