La procura di Siena è riuscita a decretare per ben due volte che quello del 6 marzo 2013 è un suicidio. Ma gli errori nelle indagini rendono chiaramente impossibile la ricostruzione compiuta dai magistrati e poi sposata da due diversi giudici per le indagini preliminari. Oggi la procura di Genova, competente sull'operato dei magistrati senesi, ha aperto un fascicolo per valutare il lavoro svolto dai loro colleghi toscani a cominciare dalla sparizione di reperti fondamentali
“C’è una mattina ogni 364 giorni in cui ti svegli e non hai bisogno di fare mente locale perché sai benissimo che giorno è”. Sono passati cinque anni dalla morte di David Rossi, avvenuta il 6 marzo 2013, eppure la moglie Antonella Tognazzi, così come i familiari, ancora aspettano una verità su quanto accaduto al manager di Monte dei Paschi di Siena. Se non una verità assoluta, almeno una verità credibile. Perché a oggi la procura di Siena è riuscita a decretare per ben due volte che si tratta di suicidio. Ma gli errori investigativi rendono chiaramente impossibile la ricostruzione compiuta dai magistrati e poi sposata da due diversi giudici per le indagini preliminari. Un libro di Chiarelettere a ottobre (il Caso David Rossi) e nei mesi successivi anche i servizi delle Iene hanno evidenziato tutte le incongruenze, le lacune, gli errori contenuti negli atti. L’ultimo: il gip nel secondo decreto di archiviazione ha scritto che durante le fasi investigative era stata sentita come persona informata sui fatti anche Lorenza Pieraccini, l’ex segretaria di Fabrizio Viola, all’epoca amministratore delegato di Rocca Salimbeni. Ma in realtà Pieraccini non è mai stata sentita dagli inquirenti se non lo scorso dicembre, quasi due anni dopo dal decreto del gip.
Quanto emerso grazie al lavoro giornalistico anche svolto dal Fatto – l’unico giornale che sin da subito si è occupato della vicenda Rossi – sono stati aperti diversi fascicoli a cavallo tra novembre e dicembre dalla procura di Genova, competente sull’operato dei magistrati senesi. Al momento nessuna nuova indagine è stata avviata per individuare cosa è accaduto a David Rossi la sera del 6 marzo 2013, ma gli inquirenti liguri stanno valutando il lavoro svolto dai loro colleghi toscani a cominciare dalla sparizione di reperti fondamentali, come i sette fazzoletti sporchi di sangue trovati nel cestino dell’ufficio di David e distrutti senza prima essere analizzati su richiesta del pm Aldo Natalini prima ancora che fosse disposta la prima archiviazione – e quindi prima di sapere se il gip avesse chiuso il fascicolo o disposto nuove ulteriori indagini – e prima ancora che i familiari ne fossero stati messi a conoscenza.
Ma sono tanti, troppi i punti interrogativi rimasti senza risposta. Così come molti sono gli elementi emersi dal lavoro svolto dagli stessi periti della procura, in particolare dal colonnello dei carabinieri del Ris Davide Zavattaro, mai tenuti in considerazione. Anche qui basta citarne uno: la relazione conclusiva appura che tutti gli ematomi, i segni, le ferite riportate sulla parte anteriore del corpo di David non sono compatibili con la caduta. Poi la dinamica del volo dalla finestra del suo ufficio: Rossi cade in maniera perpendicolare alla parete, senza darsi alcun slancio e rimane totalmente inanimato fino all’impatto al suolo. Un video passato al setaccio dal consulente dei familiari, l’ingegnere Luca Scarselli. Uno studio che ha portato alla luce anche la presenza di altre persone nel vicolo immediatamente dopo il volo. Una rielaborazione in 3D poi compiuta dall’avvocato Paolo Pirani, che assiste i fratelli e la mamma di David, mostra chiaramente come una persona entri nel vicolo appena tre metri e pieghi la testa solo esclusivamente per accertarsi che il corpo di David sia al suolo e fermo, evitando di avanzare ulteriormente per timore di essere inquadrato meglio dalle telecamere. Insomma il caso David Rossi è ancora tutto da appurare, da chiarire. Ma purtroppo le indagini iniziali sono state svolte in maniera approssimativa e chiuse con estrema rapidità. Lo ha ammesso lo stesso procuratore capo Salvatore Vitiello tra le righe di un inusuale comunicato stampa diffuso a fine anno per difendersi dalle critiche mosse dalla stampa. Vitiello è riuscito a scrivere che “col senno di poi” i vestiti dovevano essere conservati così come altri reperti e ancora altro si sarebbe dovuto fare. Ma certo “col senno di poi”.
E così, oggi, a distanza di cinque anni, Antonella Tognazzi e i familiari di David si aspettano ancora una verità, almeno credibile. La vedova ha fra l’altro dovuto subire un processo: lo stesso pm al quale lei si rivolgeva credendolo impegnato nelle indagini su quanto accaduto al marito, in realtà ha indagato lei. Con una accusa umanamente infamante più che penalmente rilevante: aver tentato di estorcere denaro alla banca sfruttando la morte di David. Eppure Mps offrì ad Antonella anche un contratto a tempo indeterminato ma lei ha sin da subito rifiutato perché voleva prima comprendere se Rocca Salimbeni fosse in qualche modo responsabile dell’accaduto. Il processo si è concluso lo scorso 15 gennaio e Antonella è stata assolta con formula piena, perché il fatto non sussiste. Ma nel frattempo si è perso altro tempo e le indagini su David non sono mai ripartite. Ora tocca a Genova. La scorsa settimana i magistrati liguri hanno sentito come persona informata sui fatti Luca Scarselli, l’ingegnere nominato dalla famiglia. Nelle settimane precedenti hanno interrogato anche alcuni giornalisti. Sul tavolo degli inquirenti ci sono anche alcune querele che dalla procura di Siena sono state presentate nei confronti dei cronisti delle Iene. Ovviamente i fascicoli sono delicati: magistrati che indagano su colleghi magistrati. Prima o poi una verità sarà scritta. È la speranza di molti. Non solo di Antonella. Per lei, del resto, David era molto di più che il professionista della comunicazione che tutti conoscevano.
A restituire un volto umano a Rossi è stata di recente Carolina Orlandi. La figlia di Antonella ha dato alle stampe per Mondadori “Se tu potessi vedermi ora”, un coraggioso e ben riuscito viaggio emotivo e introspettivo che descrive in maniera netta e mai superficiale il tratto intimistico di David. Più di un libro è un vero e proprio viaggio costellato di speranze e proiezioni, numerosi sentimenti che si alternano e guidano, rassicurano, colpiscono, infastidiscono, addolciscono chi legge. Emerge l’uomo che David era, con pregi e difetti, tra cui appunto il più importante: essere un uomo, non solo un manager o un bravo professionista. Quello era lavoro. Poi c’era il resto, c’era altro ed era il vero tutto. Un libro che rende ancor più palese, a prescindere dalle indagini, perché la verità scritta dalla procura di Siena non può essere realistica o possibile. Perché un uomo così non si toglie la vita.