La più grande arroganza (e insieme il più grande errore) del Partito Democratico è stata l’assoluta indifferenza verso un’analisi accurata e profonda della società italiana e dei suoi cambiamenti. Gli sarebbe bastato leggere i continui rapporti Istat, tanto per citare il più noto degli istituti di statistica, per capire che le loro poltrone erano certamente a rischio. E che non sarebbero stati loro a vincere. Invece hanno continuato a raccontare un’immagine di società italiana che non c’era, il lavoro in ripresa, le famiglie aiutate coi bonus, i magici 80 euro capaci, secondo loro, di risollevare le sorti di milioni di famiglie (quelle a cui sono andati, non tutte) e insieme del Paese. Qualcuno obietterà che, essendo al, governo, erano comunque forzati a sbandierare l’efficacia delle loro misure. Al contrario: sarebbe stato molto meglio per il Pd ammettere che purtroppo le loro misure erano insufficienti, che i risultati non erano stati raggiunti, che la società italiana vive ancora in uno stato di enorme sofferenza, peraltro destinato a crescere.
Lavoro discontinuo, precario o del tutto assente per giovani e semigiovani, senza nessuna prospettiva di miglioramento, anzi con l’incubo di una pensione inesistente; i più anziani schiacciati da riforme pensionistiche necessaria per i conti ma probabilmente esistenzialmente impossibili, perché lavorare fino a settant’anni è un assurdo e non solo per minatori e infermieri. Milioni di donne precarie oppure casalinghe, che finiscono sole in caso di separazione e senza alcun sostentamento per il loro futuro. Disoccupati senza alcun reddito. E poi intere famiglie, e bambini, risucchiate sotto la soglia minima di povertà mentre centinaia di migliaia di giovani che lasciano il paese con la laurea in tasca. Tutto ciò, ripeto, con una prospettiva di un peggioramento progressivo delle cose, mano mano che i pensionati del sistema retributivo se ne andranno e non ci sarà più neanche diritto – è stata eliminata nel 1996 – alla pensione minima.
Allora perché hanno vinto Matteo Salvini e Luigi Di Maio, con le rispettive differenze? Perché hanno fatto una campagna insistendo sulla protezione sociale. Sull’idea di uno Stato che non ti dimentica, che ti dà un assegno se non hai lavoro e finché non lo trovi – perché con cosa mangi se non lavori? Finora nessuno ha risposto a questa domanda, quasi unici in Europa – come nel caso dei Cinque Stelle, oppure ti garantisce che potrai accadere prima alla pensione, senza passare, magari, per anni di totale assenza di reddito, visto che la legge Fornero creerà milioni di esodati nella misura in cui le aziende, anche facilitate dal Jobs Act, potranno liquidare facilmente cinquantenni che non servono più. Ecco perché hanno vinto quelli che altri chiamano “populisti”: perché hanno risposto alla paura, anzi al terrore, della povertà in cui il nostro paese sta sprofondando, tirando già con sé anche il ceto medio. Sbaglia chi ha parlato di proposte assistenzialiste, perché proprio come se ho un tumore lo stato mi deve curare (e non è assistenzialismo!), così se non ho un lavoro lo Stato mi deve aiutare, non lasciare in mezzo ad una strada, magari con i figli. Come avviene in quasi tutti i paesi d’Europa, ripeto.
E il razzismo? Il razzismo non c’entra, o meglio c’entra in maniera secondaria. Il tema principale resta sempre la povertà. Perché se non fossimo poveri, ma ricchi di lavoro e di welfare, nessuno si sentirebbe minacciato dall’arrivo anche massiccio di immigrati. Il problema, invece, è il degrado sociale ed economico, a cui si aggiunge l’immigrazione. Come fai a spiegare a un cinquantenne che ha un figlio di venti che non riesce a trovare lavoro e al quale lo Stato, da disoccupato, non dà nessun sussidio, neanche un euro, che invece per chi arriva sono stanziati dei soldi per sussidi, alloggi, cibo e quant’altro? Certo che l’Italia è diventata più razzista, ma lo è diventata per fame. Come sempre nella storia, ma forse la crisi del 1929 nulla ci ha insegnato.
Ma il Pd non ha proposto welfare per le famiglie e pensioni a settecento euro? Il problema del Pd, come ho già scritto altre volte, è aver governato e non aver mantenuto alcuna promessa in termini di protezione sociale. Uccidendo, in un certo senso, il riformismo e la speranza che portava con sé. L’unica grande riforma è stata, infatti, per togliere diritti ai lavoratori. Le altre, quelle per dare welfare, si sono rivelate misure ridicole che infatti non hanno assolutamente impedito un impoverimento continuo del paese, che non si arresta con quattro bonus per pochi o un reddito antipovertà per un povero su sei. Nessuno gli ha creduto, dunque, e giustamente.
Ma come faranno Di Maio o Salvini a mantenere le loro promesse, nonostante i vincoli di bilancio? La sfida sta tutta qui. I soldi complessivi sono pochi, e anche con riforme radicali, vedi un ipotetico ricalcolo delle pensioni retributive che certamente si rivelerebbe inattuabile perché non costituzionale, non c’è molto da redistribuire. Però una politica intelligente può comunque fare una serie di cose: 1) mettere in atto subito e drasticamente i tagli ai costi della politica e in particolare modo ai vitalizi, oltre che ai dipendente delle Camere e ai consiglieri regionali, laddove possibili. I soldi ricavati sono pochi, il consenso tantissimo (eppure il Pd non l’ha fatto) perché si elimina un’ingiustizia radicale ormai intollerabile. Accanto ai tagli ai vitalizi, ci sono tante altre misure a costo zero che andrebbero fatte subito, ad esempio sul fronte corruzione. 2) Aprire un fronte di negoziazione, di dialogo ma anche relativo scontro con l’Europa, che deve capire che più un paese si impoverisce più aumenta il rischio xenofobia. Al tempo stesso, è fondamentale raccontare esattamente come stanno le cose ai cittadini, che poco o nulla sanno dei vincoli che ci sono imposti e del perché lo sono. Perché se anche alla fine alcune riforme risulteranno impossibili, almeno sapremo come mai. Sembra un dettaglio, non lo è per nulla. 3) Restare sempre in ascolto della società reale e del suo dolore. Mai sottovalutarlo, come ha fatto la sinistra salottiera. Anche se si è al governo, a quel dolore bisogna dare voce, rendendolo visibile, quand’anche non si abbiano i mezzi per riuscire a sanarlo. Renzi, e ovviamente Berlusconi, maestro della negazione, proprio per questo sono stati puniti. Non solo per non aver risolto i sempre più gravi problemi degli italiani, ma soprattutto per non aver almeno dato spazio, nella loro comunicazione, a quei problemi. Dare visibilità pubblica alla sofferenza sociale è già qualcosa di importantissimo. Di Maio e Salvini lo hanno fatto. Speriamo non lo dimentichino una volta al governo, chiunque dei due sia.