A Lampedusa domenica scorsa 346 persone sono uscite da casa per andare segnare sulla scheda elettorale il simbolo con Alberto da Giussano. Significa che nel lembo di terra più a Sud d’Europa – 1.700 chilometri da Milano, solo 167 dalla Tunisia – il 15% degli elettori ha scelto il partito di Matteo Salvini. Più o meno come è successo a Taormina, la città del G7 dove Matteo Renzi aveva paracadutato Maria Elena Boschi. E che invece ha dato il 23% al Carroccio. E poi a Foggia, in Puglia, dove si sono riscoperti leghisti quasi il 9% degli elettori. O in Abruzzo dove il sole delle alpi ha toccato quota 13%. Il Lazio, invece, sembra il Piemonte: il partito che un tempo intonava “Roma ladrona” supera ovunque i dieci punti percentuali. Persino dalle parti di Tor Bella Monaca, il quartiere che fu rosso nella Capitale, mentre in provincia di Viterbo la Lega raggiunge addirittura il 20%.
Un milione di voti, 23 eletti – Numeri neanche ipotizzabili fino a un pochi mesi fa. Eppure è andata così. Niente da fare. La sera del 4 marzo l’Italia si è riscoperta – ancora una volta – un Paese diviso a metà: il Mezzogiorno feudo del Movimento 5 stelle, il Nord ormai storica roccaforte del centrodestra guidato dal Carroccio. Ma oltre ai pentastellati, il Sud – come spesso accade – racconta anche altro. Per esempio racconta che quasi un milione di elettori (per la precisione 987. 406) di Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia si sono convertiti al leghismo. Sissignore. Li hanno chiamati terroni per decenni eppure oggi votano Lega. Nel prossimo Parlamento, quindi, siederanno 23 persone elette dal Carroccio al Sud. Non da sedicenti liste autonomiste più o meno collegate alla Lega ma pronte a dissolversi nel Misto alla prima occasione. No: quei 23 sono eletti proprio dalla Lega, con il simbolo della Lega e gli slogan della Lega. Praticamente potrebbero essere un intero gruppo parlamentare, una pattuglia pronta a cantare Va Pensiero con un fortissimo accento siciliano, calabrese, napoletano.
Il sorpasso – Un milione di voti è tra l’altro proprio lo stesso vantaggio guadagnato dal Carroccio nei confronti di Forza Italia: tradotto significa che se quello di Salvini è il primo partito del centrodestra il merito è soprattutto dei voti guadagnati dal Lazio in giù. Che non sono frutto di uno “scippo” a Forza Italia. O almeno non solo. Anche nel Meridione – come ovunque – il partito di Silvio Berlusconi ha perso terreno rispetto alle elezioni di 5 anni fa, facendo registrare comunque percentuali superiori rispetto a quelle nazionali. Salvini, però, ha incassato un numero di preferenze maggiore rispetto a quelle perse da Forza Italia. Come dire che la Lega al Meridione ormai prende voti suoi.
La padanizzazione – Un’operazione, quella della padanizzazione del Sud Italia, che è stata studiata a puntino. Prima il leader della Lega ha eliminato il bianco verde made in Pontida, sostituendolo con un più unitario e trasversale blu. Poi ha lanciando il suo Noi con Salvini, primo esperimento di sbarco sotto il Po. Quindi ecco la necessaria castrazione con lo storico addio alla dicitura “Nord” nel simbolo. Nel frattempo erano già sparite parole chiave come secessione, federalismo, terroni. Ed era comparso lui, cioè Salvini, impegnato in un continuo pellegrinare per l’ex regno delle due Sicilie, a volte al limite della provocazione. Si è fatto stampare una serie di felpe con i nomi delle varie Regioni della ex Terronia ed è andato a infornare pane ad Altamura. Si è candidato come capolista in Calabria (dove ha preso il 6% e due seggi) e si è fatto fotografare tra i pescatori di Lampedusa e davanti ai cannoli e alle arancine di Palermo e Catania. Quindi ecco i candidati: riciclati, estremisti di destra, globetrotter dell’arco costituzionale, ultracattolici, persino ex seguaci dell’odiatissimo Angelino Alfano. Insomma chiunque purché avesse un qualche legame col territorio. Il risultato è stato creare consenso lì dove la Lega non esisteva. E spesso era anche considerata il nemico numero uno visto che il suo attuale leader insultava beatamente napoletani e meridionali. Tempi che furono.
Lo sbarco a sud del Po – Il caso emblematico è il Lazio, dove nel 2013 il partito allora guidato da Roberto Maroni prendeva 5.309 voti alla Camera e adesso ne ha 405.630, che gli permettono di eleggere quattro deputati (Barbara Saltamartini. Claudio Durigon. Francesca Gerardi, Francesco Zicchieri) e quattro senatori (Matteo Salvini che ha optato per un altro seggio, Giulia Bongiorno, Alberto Bagnai, Umberto Fusco). A Roma e provincia la Lega è il primo partito della destra, staccando Fratelli d’Italia che nella Capitale ha il suo zoccolo duro, mentre a Latina e Frosinone supera il 17%. In Abruzzo i 1.407 voti di cinque anni fa si sono centuplicati diventando 104.932 e facendo scattare tre parlamentari (sono Silvana Andreina Comaroli, Giuseppe Ercole Bellachioma e lo stesso Bagnai, eletto anche altrove). In Puglia hanno votato Salvini 135.125 persone portando la Lega dallo 0,1% di cinque anni fa al 6% di oggi ed eleggendo il senatore Roberto Marti (ex fittiano) e i deputati Anna Maria Tateo e Rossano Sasso, che pochi giorni fa è arrivato a dover ritoccare una foto per cancellare la bandiera “Prima il Nord”. Come fai a prendere i voti dei pugliesi condividendo immagini del genere?
Il sole delle alpi splende fino a Lampedusa – In Campania nessuna foto taroccata ma 129mila voti che spingono a Roma Pina Castiello, Gianluca Cantalamessa, e Claudio Barbaro. In Sicilia, invece, i leghisti guadagnano 120mila voti rispetto ai 4mila del 2013. Erano i tempi del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, che strizzava l’occhio a Umberto Bossi e Roberto Maroni e per qualche tempo tentò di fare il Carroccio del Sud Italia. Oggi persino il simbolo del Mpa è scomparso, mentre molti suoi esponenti hanno trovato riparto all’ombra di Alberto da Giussano. È il caso di Angelo Attaguile uno dei registi dell’operazione di Noi con Salvini. O Carmelo Lo Monte, uno dei tre parlamentari eletti per la prima volta dalla Lega sull’isola insieme ad Alessandro Pagano e Giulia Bongiorno. Per la verità, in passato, la Sicilia una leghista in Parlamento l’aveva già avuta: era la senatrice Angela Maraventano, ristoratrice di Lampedusa ma eletta in Emilia Romagna. Era stata candidata anche nel collegio della sua isola, ma nascosta sotto il simbolo del Movimento per l’Autonomia: prese 174 voti e il 7%. Meno della metà di quello che i lampedusani hanno deciso di dare direttamente alla Lega domenica scorsa.
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