Il 90 per cento del gruppo dirigente del Pd “ha escluso la possibilità di un governo con i Cinquestelle, così come con il centrodestra“. Tutte le ipotesi di una possibile fronda interna ai democratici per far partire un esecutivo a guida Di Maio per il momento si scontrano con questa presa di posizione di Andrea Orlando, principale rivale di Matteo Renzi all’ultimo congresso e capo di una delle correnti di minoranza. “In modo chiaro per questa prospettiva (un accordo Pd-M5s, ndr) si è pronunciato Michele Emiliano che ha ottenuto al congresso il 10 per cento. Il 90 per cento del gruppo dirigente del Pd è contrario ad un’alleanza con il M5s” aggiunge Orlando. Per questo, prosegue il guardasigilli, “il referendum nel Pd non serve. Il referendum sul Pd c’è già stato. Siamo al 18 per cento. Un solo punto sopra la Lega di Salvini”.
Certo, il futuro del segretario e un eventuale appoggio a un esecutivo targato M5s restano i temi che rischiano di spaccare il Partito democratico. A tre giorni dalla disfatta elettorale, col partito precipitato sotto la soglia psicologica del 20 per cento, a duellare a distanza in precedenza erano stati Luigi Zanda e Carlo Calenda. Il primo, notoriamente vicinissimo al presidente della Repubblica, attacca Renzi e apre ai pentastellati. Il secondo, tesserato del Pd, difende il segretario e chiude completamente a Luigi Di Maio e ai suoi. “Matteo Renzi potrebbe seguire l’esempio di Walter Veltroni che, quando si dimise, lasciò subito al suo vice Dario Franceschini il compito di reggere il Pd e traghettarlo verso il congresso. Martina, il vicesegretario, è il reggente in pectore”, suggerisce l’ex capogruppo Pd al Senato, parlando a Repubblica. “Dopo una sconfitta così grave, le dimissioni del segretario sono una conseguenza naturale le dimissioni sono una cosa seria e quando si danno devono avere una efficacia immediata”, continua Zanda, che lunedì era stato il primo a criticare il segretario dopo l’annuncio delle dimissioni post datate, cioè dopo la formazione del governo, in modo da impedire ai democratici di sedere al tavolo con i Cinque Stelle.
Zanda apre al M5s ma chiude a Matteo – L’ex capogruppo a Palazzo Madama però, non si è esprime solo sul futuro di Renzi ma anche su quello del Pd. E in questo senso ha idee opposte rispetto a quelle del segretario su un eventuale dialogo con il M5s. “L’accordo con i grillini? Mai. Chi vuole sostenerli lo dica in direzione”, aveva detto ieri Renzi. Passano poche ore e l’uomo che è considerato tra molto legato a Sergio Mattarella esplicita la sua posizione. “Per 5 anni nell’ultima legislatura ho guidato in Senato un confronto sempre duro con i 5Stelle – dice – Da loro non mi separano solo differenze sulle politiche parlamentari, e programmatiche, ma una divergenza di fondo molto seria: io sostengo la democrazia parlamentare rappresentativa, i grillini vogliono la democrazia diretta, la democrazia dei clic e quella di un referendum alla settimana. In politica si deve parlare con tutti e, a maggiore ragione, si deve farlo con un partito che ha ricevuto un consenso molto ampio. Ma confrontarsi non annulla le differenze forti”. Una posizione leggermente sfumata successivamente (“Ho detto chiaramente che il Partito democratico sarà all’opposizione. Questa è la volontà indicata dagli elettori e va rispettata”).
Liberi e Uguali: “Parlamentari disponibili a un confronto”
L’apertura decisa a un confronto arriva invece dalla piccola pattuglia dei parlamenti di Liberi e Uguali. Piccola, ma eventualmente determinante per raggiungere i 316 deputati e i 158 senatori sufficienti per una maggioranza. Pietro Grasso, Pippo Civati, Roberto Speranza e Nicola Fratoianni in una lettera ai delegati delle assemblee di Leu scrivono che i parlamentari “apriranno con le altre forze politiche un confronto trasparente e serio sulle possibili convergenze per poter realizzare la nostra agenda politica. Lo faremo in Parlamento, il luogo deputato alla discussione democratica”. Un concetto già espresso all’indomani del voto proprio da Grasso. “Nel mondo – si legge – assistiamo ad un avanzamento sempre più preoccupante delle destre e dei populismi. L’Italia non è da meno: il dato e i flussi elettorali emersi in queste ore ci raccontano di un Paese che vive le stesse contraddizioni di altre nazioni europee. La sinistra è in crisi: lo è nel linguaggio, nella cultura politica, nelle prospettive e, soprattutto, nella capacità di parlare ai cittadini, di interpretarne le istanze, di rappresentare i molti e non i pochi. Il contesto storico e internazionale è necessario per analizzare quanto accaduto ma non deve trasformarsi in un alibi”. Nella lettera è scritto che comunque il percorso verrà deciso insieme alla base.
Calenda e l’ipotesi tesseramento lampo – È il possibile sostegno a un governo pentastellato, però, che in queste ore sta infiammando gli animi tra i dem, proprio nel giorno in cui Luigi Di Maio – in una lettera a Repubblica – scrive: “Tutte le forze politiche devono manifestare responsabilità“. La prima risposta all’apertura di una parte del Pd al dialogo con il Movimento arriva da Carlo Calenda: “Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici”, scrive su Twitter il ministro per lo Sviluppo economico, riferendosi alla volontà di prendere la tessera. “Si può ripartire solo se lo si fa insieme. Ultima cosa di cui abbiamo bisogno è arrocco da un lato e desiderio di resa dei conti dall’altro. Ridefinire il nostro messaggio al Paese, riaprire iscrizioni e tenersi lontano da M5s. Leader c’è e fa il Pdc (il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ndr)” scrive ancora sui social network Calenda. Che poi si autoesclude dalla corsa alla successione del segretario. “Ho sempre parlato chiaro con Renzi ma mi rifiuto di partecipare ora alla rimozione collettiva di un percorso che ha avuto anche tantissimi elementi positivi. Se cercano anti-Renzi non sono io”.
Come disse quello “il dado è tratto” pic.twitter.com/uL5s0jWD4i
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 7 marzo 2018
Mentre lascia il Nazareno ribadisce: “Siamo stati e siamo alternativi al M5S che rappresenta non la cultura di governo ma la cultura della fuga dalla realtà. Dobbiamo rimanere qui perchè i voti che hanno dati sono voti che vogliono questo. Penso che sia sbagliato tradirli“.
Emiliano: “Liberarsi di personaggi come Calenda” – Dalla parte opposta del partito c’è Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia e leader della corrente di minoranza Fronte democratico, che ribadisce la linea dell’intesa con i Cinquestelle e per farlo – sottolinea – “bisogna liberarsi al più presto di personaggi come Calenda e ricominciare un cammino diverso. E adesso la brutta notizia è che ha perfino deciso di iscriversi al Pd: questa veramente è la notizia più triste di questi giorni”. A Emiliano viene fatto notare il tweet in cui Calenda afferma che se il Pd si alleasse con il M5s, il suo sarebbe “il tesseramento più breve della storia dei partiti. “È un motivo in più per fare l’alleanza con il M5s – risponde Emiliano – Prima se ne va Calenda, meglio è”.
Sposetti: “Renzi indegno va processato”- Secondo diversi retroscena, infatti, Calenda era uno dei nomi che insieme a Nicola Zingaretti e Sergio Chiamparino circola tra i democratici per il dopo Renzi. Prima di cercare il successore, però, al Nazareno devono liberarsi del segretario. “Renzi e l’attuale direzione del Pd non sono degni di affrontare il dibattito su quello che dovrà fare da ora il partito. Sono indegni. Lui e la sua cerchia sono delinquenti seriali che hanno distrutto la sinistra e rotto l’idea di comunità. Renzi va processato”, è l’attacco lanciato da Ugo Sposetti, in un’intervista al Corriere della Sera. Il senatore uscente e storico tesoriere del Pd parla di “processare Renzi” – citando il Pasolini del processo alla Dc – perché, dice, “ci ha portati in una situazione peggiore a quella del ’48. Qua non è rimasto nulla. La sconfitta di domenica è figlia di arroganza politica, boria, pressappochismo, visione miope. Ma quali dimissioni? Tutto quello che sta facendo Renzi in questi giorni e in queste ore è dettato da un vero e disgustoso attaccamento alla poltrona. Per questo non esiste altra via che quella di un vero e proprio processo politico a Renzi da parte della nostra gente. A Renzi va soltanto impedito di fare altri danni a se stesso, al partito, alla sinistra, al Paese”.
Tutti contro Matteo – Toni durissimo contro il segretario che in queste ore sta cercando di stringere a sé gli alleati più fedeli, da Graziano Delrio a Lorenzo Guerini, da Matteo Orfini a Ettore Rosato. Più ovviamente Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Irrecuperabili appaiono invece Dario Franceschini, Paolo Gentiloni e persino il suo stesso vicesegretario, Maurizio Martina. Il ministro della Cultura vuole che il segretario si faccia da parte cedendo il testimone a un traghettatore scelto dagli oppositori. Che crescono di ora in ora. Anche Marco Minniti e Anna Finocchiaro vogliono un immediato passo indietro del leader, cosa che ovviamente è desiderata anche da Andrea Orlando e Michele Emiliano. Per evitare di spaccare tutto, gli amasciatori delle due correnti hanno proposto un incredibile compromesso: il nuovo segretario non sarà scelto da un congresso, ma dall’assemblea nazionale da tenersi ad aprile, dopo le consultazioni. E il nuovo segretario non sarà un traghettatore ma un leader vero in grado di durare fino al 2021. Opzione prevista dallo statuto, ma solo se il nuovo leader raccoglie i voti dei due terzi dell’Assemblea.
La resa dei conti – Renzi, però, ha un’idea diversa. Si farà da parte per prepararsi all’eventuale voto anticipato, ma solo dopo aver ancorato il Pd all’opposizione. E facendo logorare chi andrà al governo, senza cedere a un eventuale richiamo del Quirinale alla responsabilità istituzionale. Al momento tutti i big sono ufficialmente contrari ad appoggiare i Cinquestelle, a parte Orlando ed Emiliano che chiedono un referendum tra gli iscritti per deciderlo. “Non ho mai pensato sia possibile. L’unica strada giusta è andare all’opposizione. Nel Pd siamo e saremo tutti d’accordo su questo. Ma dovremo però ragionare degli errori compiuti e delle strade da scegliere per rifondare sia il partito che il nostro campo”, dice Franceschini a Repubblica, rilanciando ancora una volta il tema cruciale: il pensionamento del segretario. La resa dei conti, però, si preannuncia ancora lunga. E prevede un altro delicato passaggio: l’elezione dei capigruppo di Camera e Senato. Renzi ha assicurato che non intende proporre il nome di Maria Elena Boschi. I capigruppo, però, si votano a scrutino segreto.