Per via della modifica della legge elettorale e del successo risicato su Stefano Parisi, il presidente riconfermato può formare la nuova giunta ma non ha la maggioranza, potendo contare soltanto su 25 consiglieri contro i 51 totali. Il grillino Porrello: "“Qualora Zingaretti volesse aprire un dialogo con noi, si vedrà su che basi". Ma i dem considerano più solida l'ipotesi di offire la presidenza del Consiglio a Palozzi (Forza Italia) per avere in cambio la fedeltà di tre azzurri
Un mini-Nazareno per blindare i prossimi cinque anni in Regione? O una convergenza “sui temi” con il M5S, ancora una volta in antitesi alla chiusura renziana? L’analisi dei risultati ufficiosi delle elezioni nel Lazio, per quanto riguarda il Consiglio regionale, sta imponendo a Nicola Zingaretti di ragionare su come allargare la già ampia alleanza che lo ha portato alla rielezione. Per via della modifica della legge elettorale e del successo risicato su Stefano Parisi, infatti, il neo-rieletto governatore può formare la nuova giunta ma non ha la maggioranza alla Pisana, potendo contare soltanto su 25 consiglieri contro i 51 totali. Va detto che la Regione non è il Parlamento: la “trazione” è presidenziale, il mandato è pieno ed esistono strumenti deliberatori efficaci per mandare avanti l’azione governativa. Tuttavia, per le questioni più importanti (come il bilancio) il consenso dell’Assise è indispensabile e un’ipotesi di convergenza allargata va trovata il prima possibile. Come accade a livello nazionale – dove Luigi Di Maio ad esempio ha offerto ai possibili alleati la presidenza di Camera e Senato – potrebbe essere messa in palio anche la presidenza dell’Aula, che in condizioni normali dovrebbe tornare all’uscente Daniele Leodori (Pd), riconfermatosi “mister preferenze” con oltre 18.000 voti.
L’APERTURA DEL MOVIMENTO 5 STELLE – Da corteggiatore, in realtà ora Zingaretti si trova ad essere corteggiato. Perché la prima mano tesa arriva dal M5S e, in particolare, da Devid Porrello – vicepresidente in caso di vittoria di Lombardi – e Valentina Corrado. “Qualora Zingaretti volesse aprire un dialogo con noi – afferma Porrello all’Ansa – si vedrà su che basi. Non abbiamo pregiudizi a prescindere, ma giudizi: lavoriamo sui temi. Deve dirci su che linea vuole andare avanti sulla sanità, le liste d’attesa, su piani regionali seri su rifiuti e trasporti. In Aula troverà un atteggiamento non di apertura, ma certo di maturità”. Musica per le orecchie dei zingarettiani, considerata la vicinanza ai temi di sinistra che caratterizza buona parte del nuovo gruppo pentastellato alla Pisana, che ora propone come accordo di programma “l’abolizione dei vitalizi in erogazione, la riduzione delle indennità e una rimodulazione della spesa”. Almeno 6 neo-consiglieri su 10, va detto, sono al secondo mandato e a loro potrebbe essere affidata la presidenza di qualche commissione chiave.
LA PRESSIONE DI FORZA ITALIA – L’altra tentazione, invece, si chiama Forza Italia. Uno schema che piace meno agli alleati del governatore rieletto, ma che assicurerebbe un altro tipo di solidità alla maggioranza zingarettiana e per questo, secondo alcuni Dem, “andrebbe quanto meno considerata”. Qui il dialogo sarebbe più spicciolo e riguarderebbe solo le poltrone. Il nome azzurro per la presidenza del Consiglio regionale sarebbe quello di Adriano Palozzi, vicinissimo a Maurizio Gasparri (e a Renata Polverini) e secondo degli eletti con oltre 14.000 preferenze. La convergenza sull’ex presidente di Cotral, infatti, permetterebbe ai zingarettiani di tenersi buoni in un colpo solo almeno tre consiglieri, ovvero lo stesso Palozzi, il suo alter ego donna Laura Cartaginese e il leghista pontino Angelo Tripodi, in procinto di mollare Salvini per abbracciare i berlusconiani. Tutto ciò senza sprecare preziose caselle in giunta. Da capire quanto un’ipotesi del genere possa arrivare a creare malumori a sinistra, sebbene negli ambienti forzisti risulti oltremodo che auspicata.
LA CARTA DELLO SCARPONE – La terza strada da percorrere è quella che tutti immaginavano naturale dall’inizio, ma che ora risulta più impervia, ovvero offrire un incarico operativo a Sergio Pirozzi, sempre più battitore libero. L’ipotesi era quella di assegnargli un assessorato di scopo per la ricostruzione nelle aree terremotate, garantendo così a Zingaretti il consigliere numero 26 e una maggioranza, seppur risicata. Ma ieri dall’ex allenatore del Trastevere, risultato decisivo per il Nicola-bis, è arrivata una clamorosa chiusura: “Se io do una parola è quella. La lista dello Scarpone andrà avanti da sola, all’opposizione”, ha detto a Radio Cusano Campus, annunciando la convocazione degli stati generali del suo nuovo partito.
L’AFFOLLAMENTO PER LA GIUNTA – In tutto questo, nei prossimi giorni la proverbiale ecumenicità zingarettiana sarà messa a dura prova dalle pressioni di candidati trombati, alleati, padri politici e via dicendo. Una delle poche cose su cui il governatore rieletto è stato chiaro e’ che “non vi saranno consiglieri-assessori”. Dunque, sulla base di questo schema, rispetto alla giunta precedente non dovrebbe essere riconfermato all’Ambiente Mauro Buschini, campione di voti in Ciociaria, e nemmeno Fabio Refrigeri alle Infrastrutture; via, per motivi personali, anche la titolare del Bilancio, Alessandra Sartore, mentre potrebbe non liberarsi la casella dell’assessore ai Trasporti, Michele Civita, che ha fallito l’ingresso alla Pisana, inceppando la catena che avrebbe dovuto portare in giunta l’ex deputato Michele Meta. Spingono per entrare anche Alessio D’Amato (già a capo della cabina di regia sulla sanità e in odore di archiviazione per il processo che lo riguarda), l’ex capogruppo capitolino Marco Miccoli, l’ex marroniano Fabio Ciarla, il leunino Paolo Cento, lo storico dirigente ex diessino Goffredo Bettini e probabilmente un franceschiniano.