Alla fine è andata meglio del previsto e bisogna riconoscere che il successo dell’operazione era tutto fuorché scontato. Il maxi aumento di capitale del Credito Valtellinese si è chiuso con adesioni pari all’83% e sono stati raccolti in prima battuta 581,6 milioni di euro su 700 complessivi. I diritti d’opzione non esercitati verranno offerti in Borsa la prossima settimana e gli eventuali acquirenti dovranno sottoscrivere le nuove azioni entro il 20 marzo. A quel punto si vedrà quanta parte dell’aumento rimarrà da coprire: Algebris, Credito Fondiario e Dorotheum si sono già impegnati a rilevare azioni fino a un importo complessivo di 55 milioni e poi c’è il nutrito consorzio di garanzia capitanato da Mediobanca che peraltro avrebbe già ricevuto impegni da investitori istituzionali per oltre 100 milioni.
Dunque l’aumento di capitale verrà integralmente coperto e l’istituto valtellinese può quindi tirare un sospiro di sollievo: “Se considero il punto da cui siamo partiti a novembre da quando abbiamo annunciato il piano e la dimensione rispetto alla capitalizzazione, penso ci siano i motivi per essere soddisfatti – dice Mauro Selvetti, direttore generale dell’istituto -. Una banca medio piccola è riuscita ad andare in giro per il mondo a raccogliere soldi”, peraltro in un momento difficile, caratterizzato da elezioni politiche dall’esito incerto e con le restrizioni poste dalla nuova normativa Mifid2 a tutela degli investitori privati.
In effetti il tasso di adesione all’aumento appare abbastanza sorprendente perché da un lato la banca chiedeva al mercato risorse superiori di circa sette volte alla propria capitalizzazione di Borsa e, dall’altro, nel corso degli anni il valore delle azioni è calato di oltre il 90%. Tra i vecchi soci c’è chi ha deciso di mollare tutto vendendo in Borsa azioni e diritti, ma c’è anche chi ha scelto di rilanciare investendo altri quattrini nell’istituto. Una scelta saggia? Solo il tempo potrà dirlo, anche se le perdite accumulate nel corso degli anni appaiono difficilmente recuperabili. La scommessa per molti è che il nuovo piano della banca possa contribuire a renderla appetibile nell’ambito del previsto consolidamento del settore, ma ogni ipotesi in questo senso pare prematura: in primo luogo deve essere completata l’operazione di pulizia dei bilanci, che prevede peraltro la cessione di 2,2 miliardi di crediti deteriorati lordi, di cui 1,6 miliardi attraverso una cartolarizzazione garantita dallo Stato.
L’aumento di capitale iperdiluitivo portato a termine dal Credito Valtellinese ha senz’altro contribuito a modificare in profondità anche la composizione dell’azionariato dell’istituto, che si è trasformato da banca popolare in spa a fine 2016, ma che di fatto ha mantenuto lo stesso gruppo dirigente del passato. Se è vero che il mercato ha dato fiducia alla banca e al suo piano, è anche vero che l’ingresso in forze di investitori istituzionali nel capitale pare difficilmente conciliabile con il permanere in carica di amministratori che sono al comando da molti lustri e che sono responsabili della distruzione di valore che ha portato la banca a un passo dal baratro. La credibilità di una non semplice opera di rilancio del Credito Valtellinese si misurerà con ogni probabilità anche dalla sua capacità di rinnovare i vertici e la governance, abbandonando definitivamente le vecchie logiche delle conventicole che lo governano tutt’ora. Segnali in questo senso potrebbero arrivare già nelle prossime settimane.