Marcello Dell’Utri resta in carcere. Lo ha deciso la seconda sezione della corte d’appello di Caltanissetta, rigettando la richiesta di revisione presentata dall’ex senatore di Forza Italia.  Respinta di conseguenza anche la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena per lo storico braccio destro di Silvio Berlusconiavanzata nel dicembre scorso dalla procura generale nissena. A chiedere la revisione del processo per l’ex manager di Publitalia erano stati i suoi legali, gli avvocati Francesco Centonze e Tullio Padovani. La corte, presieduta da Andreina Occhipinti, ha 45 giorni di tempi per depositare le motivazioni della sentenza. I legali dell’ex parlamentare, in ogni caso, annunciano il ricorso in Cassazione.

La decisione dei giudici nisseni, inizialmente fissata per gennaio, era stata rinviata perché, a sorpresa, la corte si era vista sollevare un conflitto di competenza dalla procura generale di Palermo.  A chiedere un incidente di esecuzione alla corte d’appello del capoluogo siciliano erano stati sempre i legali di Dell’Utri. L’incidente di esecuzione nel frattempo è stato respinto, quindi è toccato ai magistrati di Caltanissetta esprimersi. Avevano tre opzioni: sospendere l’esecuzione della pena e decidere successivamente sulla revisione, pronunciarsi sulla revisione positivamente, scarcerando Dell’Utri, o rigettare l’istanza nel merito e quindi anche la richiesta di scarcerazione. Hanno optato per quest’ultima ipotesi.

Il no alla liberazione per motivi di salute – Condannato dalla corte di Cassazione nel maggio del 2014 a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra, Dell’Utri deve scontare ancora meno di due anni di reclusione. Al momento è in detenzione ospedaliera all’interno del carcere romano di Rebibbia. Nelle scorse settimane gli avvocati dell’ex senatore si erano visti respingere per due volte dal tribunale di sorveglianza di Roma un’istanza di differimento della pena  per motivi di salute. “La posizione giuridica di Dell’Utri non è in alcun modo rassicurante: la sentenza in esecuzione ha accertato i suoi rapporti con i vertici di Cosa nostra dai primi anni ’70 al 1992. Allarmante appare la pregressa latitanza in Libano, avvenuta nel 2014, vale a dire poco meno di quattro anni fa, nonostante l’età, la patologia cardiaca e le altre affezioni già all’epoca presenti”, scrivevano i giudici spiegando il loro no alla liberazione.

Il caso Contrada – Da tempo, però, i legali dell’ex numero uno di Publitalia ritengono che quello di Dell’Utri sia assolutamente sovrapponibile al caso Contrada. Tutto è  legato alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che tre anni fa ha dichiarato illegittima la condanna inflitta nel 2007 all’ex numero due del Sisde. Era l’aprile del 2015 quando i giudici di Strasburgo avevano stabilito che l’ex superpoliziotto non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale. A “inventarsi” quel reato al tempo del pool antimafia di Palermo era stato Giovanni Falcone: occorreva un modo, infatti, per perseguire i colletti bianchi che contribuiscono continuativamente alla crescita dell’associazione mafiosa senza mai farne parte a livello organico.

La Cedu e il concorso esterno – Poco importa, però. Perché a causa di un errore dei rappresentanti dello Stato Italiano (come ricordato in un’inchiesta di MillenniuM, il mensile del Fatto Quotidiano), la Cedu condannò l’Italia a risarcire Contrada ritenendo che fosse stato condannato illegittimamente. Come l’ex agente segreto anche Dell’Utri è stato giudicato colpevole per fatti avvenuti prima del 1994 – nel caso dell’ex senatore fino al 1992 – e quindi non “coperti” dalla sentenza Demitry. Gli avvocati dello storico braccio destro di Berlusconi hanno quindi provato la strada dell’incidente di esecuzione davanti alla corte d’appello di Palermo sostenendo l’immediata applicazione del verdetto Cedu al loro assistito. Ma l’istanza, che conteneva la richiesta di sospensione della pena, è stata respinta. Stessa decisione ha preso la Cassazione a cui i legali hanno fatto ricorso: i giudici della Suprema corte, però, hanno indicato la via della revisione. Processo che si è aperto davanti ai giudici di Caltanissetta, competenti per legge, visto che Dell’Utri è stato condannato dal tribunale di Palermo. Nel frattempo gli avvocati si sono anche rivolti alla corte di Strasburgo, che però non si è ancora pronunciata. Nel corso della revisione il procuratore generale nisseno ha chiesto dunque alla corte d’appello la sospensione dell’esecuzione della pena. Istanza che, però, è stata respinta.

Condannato perché garante tra B. e la mafia – Ma chi è l’uomo al quale è stata negata la libertà? Nelle motivazioni della sentenza definitiva di condanna, i giudici definiscono Dell’Utri come  il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra e “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”. E ancora, la Suprema corte – nelle stesse motivazioni depositate nel luglio del 2014 – ricorda che il “perdurante rapporto di Dell’Utri con l’associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell’amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall’incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l’imputato, Bontade Teresi, incontro nel corso del quale Dell’Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“.

La trattativa e il no alla liberazione: “Può fuggire” –  La condanna definitiva, però, non è l’unico guaio giudiziario per Dell’Utri. Oggi l’ex senatore è nuovamente indagato dalla procura di Firenze con un’accusa pesantissima: insieme a Berlusconi è sospettato di essere tra i possibili mandanti occulti delle stragi del 1993 a Firenze, Roma eMilano. Sul suo capo, inoltre, pende anche un’altra richiesta di condanna. È quella a 12 anni di reclusione avanzata alcune settimane fa dalla procura di Palermo nel processo sulla cosiddetta Trattativa  tra pezzi dello Stato e Cosa nostra in cui l’ex senatore è imputato per minaccia e violenza a corpo politico dello Stato.  “Considerate le pendenze per reati molto gravi che potrebbero determinare nuove consistenti pene detentive e tenuto conto del recente tentativo di sottrarsi all’esecuzione penale, non si ritiene di poter escludere il pericolo di fuga, non trovandosi in condizioni fisiche impeditive della deambulazione e del movimento, e non essendo le malattie in fase avanzata e debilitante”, scrivevano i giudici del tribunale di sorveglianza di Roma negando a Dell’Utri la scarcerazione per motivi di salute. Tradotto: l’ex senatore potrebbe essere condannato di nuovo per altri reati, è già stato latitante e non sta poi così male. In pratica, secondo i magistrati capitolini, Dell’Utri può nuovamente fuggire all’estero. Per il momento, però, rimarrà in carcere.

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