Ci sono bellezze subito protagoniste e bellezze che risplendono lentamente, e solo fra le ombre. Prendiamo gli esempi emblematici di Jennifer Lawrence e Diane Kruger: da una parte la ragazzona del Kentucky immediatamente alla ribalta, acclamata da premi e copertine, prepotente di fisico e sguardo, dall’altra la sottile bambola tedesca, viso incantevole eppure triste, fragile d’animo e sensibile alle pene d’amore. Senza richiamare il “dualismo” fra modus yankee e quello europeo di interpretare e gestire la popolarità, nel caso delle due statuarie e bionde attrici la differenza è sostanziale. E permette di comprendere, forse, i motivi de “i dolori della giovane Diane” giusto per richiamare il celeberrimo poeta, suo connazionale.
Finora considerata la “bella statuina” del cinema europeo, sempre in lingua francese o inglese, l’ex Elena del kolossal Troy (che la portò alla ribalta mondiale dal Festival di Cannes nel 2004) ha ottenuto finalmente il suo riscatto e plauso da parte della critica. E il paradosso vuole che proprio dalla Croisette sia stata omaggiata col premio alla miglior attrice alla sua prima performance cinematografica da protagonista in tedesco, la sua madrelingua. Quello che Fatih Akin le ha regalato in Oltre la notte (Aus dem Nichts) è inequivocabilmente il cosiddetto “ruolo della vita”, almeno finora.
Il film in uscita italiana il 15 marzo segna anche una sorta di “ritorno” alla qualità da parte del regista turco-tedesco dopo i suoi folgoranti precedenti, fra cui La Sposa Turca con cui nel 2004 vinse l’Orso d’oro a Berlino. Akin ha voluto Diane a tutti i costi, l’ha convinta a recitare in tedesco e questo – probabilmente – l’ha incoraggiata a dare il meglio di sé, a dirigersi in territori scomodi e inesplorati, appunto “oltre la notte”. Il suo personaggio è Katja, una giovane moglie e madre che vive ad Amburgo, che scopre all’improvviso suo marito e figlioletto uccisi da un ordigno esploso proprio nel negozio dove lavorava il consorte. Uniche vittime dell’esplosione, evidentemente pensata e ivi deliberata, marito e figlio erano la sua vita e a Katja non resta che sopravvivere al lutto, avviando una ricerca contro tutto e tutti per scoprire i colpevoli, e restituir loro quel minimo di giustizia che comunque non li resusciterà. Si tratta di una storia che porta alla ribalta due grandi tematiche: da una parte il pericolo dei crescenti estremismi neofascisti, dall’altra l’incapacità della legge (in questo caso in Germania) di fornire giustizia alle vittime di tali circostanze, costrette a un fai-da-te di tragica matrice. Una vendetta al femminile che ha estratto dall’attrice una interpretazione passionale e “totale” inedita, una capacità di misurarsi con la disperazione più estrema di cui probabilmente non la sapevamo capace.