E sarebbe bello poter scusare questo “equivoco” come un malinteso, un (estremamente goffo) tentativo di riconciliazione con una certa parte di elettorato. Invece no, perché il tam-tam sui social e le reazioni alla fake news delle code ai Caf meridionali per chiedere i moduli per il reddito di cittadinanza sono gli indicatori di tre fenomeni abbastanza chiari: un atteggiamento paternalistico a dir poco offensivo verso gli elettori del Sud; la negazione dei problemi strutturali di natura socio-economica che hanno portato non solo ai risultati delle recenti elezioni politiche, ma anche del referendum del 4 dicembre 2016; la cecità di fronte al fatto che il voto del Meridione, come già scritto da altri blogger su questo giornale, sia stato quasi un voto di classe.

In ogni caso, la chiara conclusione è che, anche dopo la mazzata ricevuta domenica scorsa, il centro-centrosinistra (elettori ed eletti) non ha capito nulla di queste elezioni. Dal “adesso che le elezioni sono andate così, cerchiamo i passaporti ed emigriamo” (qui alcuni utili suggerimenti per la scelta della meta) fino all’ironico “hanno vinto i 5 stelle, dov’è il mio reddito di cittadinanza?”, la vera domanda da porsi sembra un’altra: com’è possibile che, anche dopo una sonora batosta elettorale, non si plachi un certo bullismo di classe verso gli elettori dei partiti che, alla fine, sono usciti vincitori da quest’ultima tornata delle politiche? Ed è paradossale che a farlo siano proprio, per la maggior parte, gli elettori di quel partito che in teoria dovrebbe far riferimento alle classi più disagiate e che vivono maggiormente sulla propria pelle i problemi della disoccupazione, della diminuzione del reddito, della crescita delle disuguaglianze.

In molti si erano convinti che il voto di classe non esistesse più, e invece la realtà ha provato il contrario. E non è sbagliato parlare di bullismo di classe nel caso particolare, soprattutto quando ci si accorge che il consenso per il Partito Democratico cresce in maniera direttamente proporzionale alle maggiori disponibilità di reddito dei propri elettori. Stando al Centro Italiano Studi Elettorali diretto da Roberto D’Alimonte, il Pd è effettivamente diventato il partito delle élite? Potrebbe essere, ma sicuramente non è il partito delle classi disagiate.

A fronte di un guadagno medio a livello nazionale di 7 punti percentuali rispetto alle politiche del 2013, il Movimento 5 Stelle ha invece guadagnato circa 18 punti percentuali nelle 30 province italiane in cui incide maggiormente la presenza di disoccupati e inoccupati. Indovinate un po’? Tutte aree del Sud Italia.

Una tale boria nei confronti del voto del Sud ci dice due cose sullo stato di salute del centrosinistra italiano in questo momento, mentre volano gli stracci (comprensibilmente) su questioni di leadership: il fronte, quasi nella sua interezza, non è riuscito ad individuare le vere tematiche che preoccupano un elettorato decisamente non più moderato come in passato; che il paternalismo verso il voto del Sud rende alcuni elettori ed eletti non molto dissimili dagli atteggiamenti della Lega Nord degli anni 90 – che ora invece corteggia il meridione, e nel contesto, si può certo dire con un discreto successo (sic).

Quando il centrosinistra comincia a pensare che la disoccupazione, in particolar modo giovanile, sia quasi una scelta o un risultato scontato dovuto alla tendenza a un parassitismo di Stato per accaparrarsi welfare benefit e stare a casa da mammà, ogni progetto per il futuro e per rilanciarsi dopo i risultati di domenica muore sul nascere un po’ di più. E diciamocelo francamente: se così stanno le cose, se non si riesce a fare consapevolmente autocritica dedicandosi esclusivamente alle analisi della sconfitta per questioni di circostanza, beh, altro che vocazione maggioritaria. Quel 18% è abbastanza meritato.

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