La requisitoria dell'accusa contro il patron del gruppo dei rifiuti: "Pressing continuo e fortissimo nei confronti della Regione. Che fino a due anni fa non ha fatto nessuna gara: tutta la gestione avveniva in emergenza, per creare e autorizzare una situazione di monopolio assoluto"
Un sistema che è “quasi mafia“. “Sta con un piede in mezzo al 416 bis”, per dirla con le parole usate dal pm Alberto Galanti nella requisitoria con la quale ha chiesto la condanna a sei anni di carcere per il patron della discarica romana di Malagrotta Manlio Cerroni accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico dei rifiuti. “Le infiltrazioni del gruppo gestito da Manlio Cerroni arrivavano ovunque”, secondo l’accusa. “Lui determinava l’emergenza rifiuti e lui si proponeva come unica soluzione ad essa. Omertà, controllo di territorio e istituzioni erano funzionali a mantenere il potere del gruppo”.”. Cerroni fu arrestato nel 2014 con la stessa accusa. A febbraio Galanti ha chiuso la seconda inchiesta per associazione per delinquere a suo carico, prosecuzione di quella di quattro anni fa.
Il pm parla di impianti che funzionavano tanto male da costringere i responsabili a chiedere carichi di rifiuti lavorati all’esterno quando dovevano dimostrare il corretto utilizzo degli stessi. E ancora: “Pressing continuo e fortissimo nei confronti della Regione“. Cerroni, secondo la procura, aveva a servizio forze dell’ordine che lo avvisavano dei controlli negli impianti. E il gruppo metteva a bilancio ogni anno centinaia di migliaia di euro in regalie per tutti i funzionari e i politici ‘amici’ che permettevano di mantenere lo status quo della spazzatura capitolina, vera miniera d’oro per l’imprenditore di Pisoniano.
Il magistrato ha affermato che a Roma e nel Lazio c’è stata una “gestione da anni ’60” nel settore dello smaltimento dei rifiuti. “Per anni si è buttato tutto in discarica senza effettuare alcun tipo di differenziata“. Per il rappresentante della Procura “fino a due anni fa alla Regione Lazio non c’è mai stata una gara pubblica per affidare la gestione dei rifiuti. La parola ‘gara’ non è mai comparsa in questo processo. La parola che invece abbiamo sempre sentito è emergenza: tutta la gestione dei rifiuti avviene in emergenza, allo scopo di creare e autorizzare una situazione di monopolio assoluto nella gestione dei rifiuti in tutta la regione Lazio”. “La logica sulla quale si reggeva il sistema era l’emergenza continua. Questo comportava grandi profitti per chi trattava i rifiuti e grandi danni per l’ambiente”.
La Procura ha chiesto inoltre una condanna a 5 anni per l’ex presidente della Regione Lazio Bruno Landi e per Francesco Rando, braccio destro di Cerroni e amministratore unico dal 2005 al 2012 della Pontina Ambiente, la società proprietaria della discarica di Albano. Quattro anni di condanna è la richiesta per Giuseppe Sicignano, già supervisore delle attività operative svolte presso gli impianti di Cecchina mentre due anni sono stati chiesti per Luca Fegatelli, già dirigente dell’area rifiuti della Regione Lazio e per Raniero De Filippis, all’epoca dei fatti responsabile del Dipartimento del territorio della Regione Lazio. Chiesta, infine, l’assoluzione per Piero Giovi, socio di Cerroni, “per non aver commesso il fatto”.