Almeno quattro gli esponenti che si avviano al doppio part-time tra Comune e Pisana o Montecitorio. Se per l'ex candidato sindaco del centrosinistra non è una novità, tra i dem c'è polemica per la decisione di Michela Di Biase, che lascia solo il posto da capogruppo in campidoglio
Mandato part-time in vista per almeno quattro consiglieri capitolini neo-eletti in Parlamento e alla Regione Lazio. Il doppio incarico piace a destra e a sinistra, le relative poltrone anche. Ad iniziare da Roberto Giachetti, Giorgia Meloni e Stefano Fassina – rispettivamente neo-deputati rieletti di Pd, Fratelli d’Italia e Leu. Lo farà anche Michela Di Biase, approdata in Consiglio regionale grazie alle sue quasi 12.000 preferenze, la quale ha annunciato le sue dimissioni solo da capogruppo, ma non da membro dell’Assemblea. L’unico dei neo eletti pronto a fare una scelta a breve è Fabrizio Ghera, leader del gruppo di Fdi in Campidoglio ed eletto alla Pisana: lui non ha ancora sciolto la riserva, ma dal partito si apprende che “entro l’estate” il consigliere meloniano lascerà l’Aula Giulio Cesare in favore della collega di partito Lavinia Mennuni con cui ha condiviso la campagna elettorale. Insomma, un’uscita “indolore”, che però ha bisogno del “tempo di portare a termine alcune battaglie già iniziate”. Stiamo a vedere.
Nel Partito Democratico la questione si era posta già a gennaio, in sede di definizione delle candidature. Già da luglio 2016, infatti, Giachetti ha coniugato il suo lavoro di vicepresidente della Camera con quello di consigliere comunali, in barba allo statuto Dem che, ad esempio, nel 2013 costrinse Ignazio Marino e Marta Leonori a rinunciare rispettivamente agli scranni di Palazzo Madama e Montecitorio. Ad oggi Giachetti sembra avere tutta l’intenzione di continuare. L’esempio verrà seguito anche da Di Biase, moglie del ministro Dario Franceschini, la quale – come confermato in un’intervista al Corriere della Sera – imiterà l’andirivieni fra Campidoglio e Pisana di Francesco Storace nel triennio 2010-2013. “Cercasi consiglieri comunali part-time per opposizione a tempo pieno”, scrive ironicamente Giammarco Palmieri, ex minisindaco del Municipio V, mentre il suo ex collega al Municipio IV, Emiliano Sciascia, rincara affermando che “quando si milita in un partito se ne rispettano le regole e gli statuti”.
Anche Marco Simoni, consigliere economico del premier uscente Paolo Gentiloni, attacca dicendo che “il lavoro per assicurarsi che la bella vittoria di Zingaretti sia proprio l’ultima-ultima è ben cominciato”. La direzione del Pd Roma, ancora in fase di analisi dopo la batosta nazionale, affronterà probabilmente l’argomento la prossima settimana – serve il nome del nuovo capogruppo, in pole Antongiulio Pelonzi – anche sono in tanti a pensare che debba essere lasciato spazio ai giovani Giovanni Zannola e Erica Battaglia. Non la pensa così Luciano Nobili, neo-deputato “turborenziano”, che su Facebook, rivolgendosi a Simoni, scrive: “Pensi davvero che faremo un’opposizione più incisiva senza il candidato sindaco e senza la più votata dai romani in consiglio comunale? Io no. E soprattutto, di fronte ad una crisi così profonda della nostra comunità politica, ti sembra questo il problema da porre?”.
Quadro totalmente diverso – per quanto il risultato sia simile – in Fratelli d’Italia. Sebbene Giorgia Meloni aspiri anche a un ruolo da ministro o comunque da protagonista in un ipotetico governo di centrodestra, la presidente di Fdi ci tiene a mantenere il suo ruolo in Assemblea Capitolina. Come mai? Il primo dei non eletti nella coalizione che la sosteneva nel 2016 risulta essere Antonio D’Apolito, candidato in Noi Con Salvini ma da qualche mese passato a Forza Italia. Della serie: non si molla niente. E, probabilmente, è anche lo stesso sentimento che spinge Stefano Fassina, ex viceministro all’Economia nel governo Letta, molto più deciso a fondare il gruppo di Liberi e Uguali in Campidoglio che a far entrare al suo posto Sandro Medici, fra i principali leader della sinistra radicale a Roma nonché ispiratore di Potere al Popolo.
Il problema è che il “doppio lavoro” spesso non porta parità di rendimento. Almeno in termini di presenza e “presidio”. Numeri alla mano, nel secondo semestre del 2017 Meloni ha fatto registrare 5 presenze in Assemblea Capitolina e 5 in Commissione, mentre Giachetti e Fassina si sono impegnati un po’ di più arrivando rispettivamente a quota 28 e 32 consigli comunali e 40 e 44 commissioni. “Ma spesso si tratta di presenze di pochi minuti a fronte di sedute che durano ore”, dice il capogruppo M5S, Paolo Ferrara.