Giovane sbarbatello, apparentemente senza carisma, con quella faccia e quel modo di fare che non gli daresti due lire, senza alcuna esperienza di rilievo alle spalle. Non è il prossimo presidente incaricato da Mattarella, bensì il MasterChef dell’edizione numero 7. Simone Scipioni, quasi 22 anni, imbullettato da una vita a Montecosaro (bellissimo ma minuscolo borgo in terra pontificia) perché di viaggiare non gliene frega nulla ed è già tanto se è stato a Macerata. Cresciuto senza genitori ma con la sorella, la nonna che guardava cucinare e il cane Rocher, Simone studia scienze dell’alimentazione. Con la vittoria di Simone, la settima edizione – dopo la parte poliziesca con le inchieste alla moviola, quella da criminalità di strada con mezze risse e quella un po’ a tirare a campare delle ultime due settimane – rivela finalmente il suo taglio finale, trasformandosi definitivamente in un romanzo di formazione. E’ la storia di Simone, appunto, partito con l’impeto di un ectoplasma e arrivato triturando tutto, in particolare – in semifinale – l’esondante self-confidence di Alberto.
Ma è la storia anche dell’altra finalista, Kateryna Gryniukh, 24 anni, ucraina di Mageriv, nella regione di Leopoli, che a un certo punto si è innamorata di un salernitano e anche dei sapori della cucina italiana. Anche lei ha continuato a diventare rossa, fino a sorprendersi di essere la migliore, ma con quella determinazione ucraina tra il militare e il sentimentale (ma sì, un po’ di luoghi comuni alla grossa) è andata vicina tanto così dalla vittoria. Anzi, probabilmente si è fregata da sola con una rana pescatrice impiattata praticamente cruda dopo i primi piatti bomba, nel sapore e nell’impiattamento. Senza quell’errore, la decisione dei giudici sarebbe suonata quasi come scandalosa.
Tagga il tuo amico che non si è ancora sintonizzato per la finale di #MasterChefIt altrimenti @AntoninoChef …si arrabbia! ?? pic.twitter.com/tNikft6xhS
— MasterChef Italia (@MasterChef_it) 8 marzo 2018
MasterChef cazzeggia parecchio perché la televisione non è un pranzo di gala, ma restituisce anche un po’ di lezioncine. La più evidente – ribadita una volta di più – è che alla fine si vince, se ci si mettono lavoro, sacrificio, un po’ di fiducia in se stessi, un pizzico di ambizione lasciando tra i verboten la superbia.
Come si vede La Sila si impegna a essere per una volta un po’ meno gigiona, si è anche messa in lungo per l’occasione, anche se non così aggressiva come la Klugy che invece si è presentata giù da gara. Per chi non l’ha vista o la vuole rileggere, insomma, ecco come La Sila ha visto la finale delle finali.